Midsommar (2019)
di Ari Aster
Florence Pugh (Dani)
Jack Reynor (Christian)
Vilhelm Blomgren (Pelle)
William Jackson (Harper Josh)
Will Poulter (Mark)
Ellora Torchia (Connie)
Archie Madekwe (Simon)
Henrik Norlén (Ulf)
Le miniature delle casette su cui si apriva Hereditary (l'horror più furbacchione e celebrato dello scorso anno) stavolta non sono tali fin dal principio. Sono case vere quelle su cui la macchina da presa si avvicina, una tipica area residenziale americana immersa nella notte in cui sta succedendo qualcosa di tremendo: una ragazza è preoccupata delle condizioni mentali di sua sorella, mentre il suo fidanzato, belloccio WASP collegiale, progetta di lasciarla su spinta dei compari di college. Il dramma si consuma tra le mura domestiche nel modo più scioccante possibile. E solo questo, che fa il primo quarto d'ora di Midsommar, basterebbe per addentrarsi nel malessere americano, un incipit che è di per sé un film e che meriterebbe approfondimenti psicologici e, perché no, anche legati al genere horror ben ancorati a quella situazione. Un considerevole minutaggio.
Si stenta a credere che dopo un atto così violento (che non spoilero volutamente) gli amici della protagonista, fidanzato incluso, decidano di partire addirittura per la Svezia, in una regione dove c'è il sole a mezzanotte, comunità post-hippie si fanno di roba allucinogena e una tribù nel vero senso del termine porta avanti delle usanze ancestrali che fanno gola ai ragazzi americani. Sì, perché in realtà anche se questi sembrerebbero i parenti stretti neanche dei figli dei fiori torturati nel classico Non Aprite Quella Porta, piuttosto di quelli di Evil Dead di Raimi che volevano scopare ingannandosi di essere un po' più intelligenti di altri coetanei, dietro al loro spasmo di finire nel nord della Scandinavia ci sarebbero delle pretese antropologiche. Addirittura due di loro, tra cui il fidanzato, si scontrano per l'esclusiva della tesi di Laurea (la cui condivisione è vista e vissuta come un affronto), una volta ottenuto il beneplacito degli anziani del villaggio; cosa che magari in America sarà pure una consuetudine (a noi sembra assurdo), ma narrativamente mostra le corde.
Perché facciamola molto breve, Ari Aster con Midsommar vorrebbe scimmiottare il leggendario The Wicker Man (con un'estetica di fotografia "bianco su bianco" che fa tanto Picnic At Hanging Rock), tanto che il finale e il pre-finale sono costruiti esattamente in un crescendo di climax irreale con soluzioni praticamente identiche. Insomma il nonplusultra del derivativo. Ma il film di Robin Hardy del '73 aveva un incipit di ben altro spessore: un omicidio e un ispettore che si addentrava nei meandri della periferia di un Regno (dis)Unito. Era un'opera voyeurista come molto del cinema di genere degli anni '70, ben consapevole della sua dimensione di parabola gotica, erotica e tribale. Qui c'è un regista che saprà anche muovere bene la macchina da presa, ma pensa di fare la Storia del Cinema imponendosi tra i capisaldi dell'horror presente e futuro.
Più che a The Wicker Man l'anima di Midsommar si avvicina maggiormente per l'appunto alla saga di Evil Dead di Raimi e di tutti quei film che a cavallo degli anni '70 e '80 vedevano giovani sperimentatori di ebbrezze individuali alle prese con riti sociali coerenti e violentissimi, illiberali in quanto esclusivi di una comunità con regole proprie. Verrebbe da citare Cannibal Holocaust, solo che Ari Aster non ha affatto l'onestà di dichiarare i suoi intenti: fare cinema medio di genere per un pubblico ampio, condendo il tutto però con orpelli di finta autorialità e intelligenza dello sguardo che non siamo disposti ad assecondargli.
Al pubblico e a molta critica sta piacendo... accostarlo ai prodotti migliori del decennio (The VVitch e Babadook sono i primi nomi che mi vengono in mente) è un abbaglio. Alla lunga i nodi verranno al pettine.
VP