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sabato 10 agosto 2019

Tesnota (2017) by Kantemir Balagov


Tesnota (2017)
di Kantemir Balagov

Atrem Cipin (Avi Koft)
Olga Dragunova (Adina Koft)
Veniamin Kac (David Koft)
Anna Levit (Lea)
Darya Zhovnar (Ilana 'Ila' Koft)
Nazir Zhukov (Zalim)


Ci sono poche cose più stranianti al giorno d'oggi di un libro o un racconto che inizia con "c'era una volta", una delle quali è senza dubbio un film che inizia con il regista che entra di prepotenza nella narrazione. Lo faceva Hitchcock nel suo serial televisivo (e lo straniamento era contenuto essendo il suo intervento parte del format), lo faceva Lars von Trier nel finale di The Kingdom, altro prodotto originariamente relegato al tubo catodico. Lo fa un giovanissimo regista russo (classe 1991) all'esordio nel lungometraggio, che non appare direttamente in video ma si inserisce a mo' di didascalia nei titoli di testa: «Il mio nome è Kantemir Balagov. Sono un cabardino. Sono nato nella città di Nal’cik, nella regione russa del Caucaso del nord. Questa vicenda è accaduta a Nal’cik nel 1998».

Una formula impressa nei casermoni sovietici di uno dei capoluoghi più problematici del Caucaso settentrionale, a due passi dalla Cecenia e dal Daghestan (e la questione cecena tornerà nel film in modo a dir poco controverso) e anche da Beslan, dove nei primi anni del 2000 ci fu una strage. Territorio funesto e contraddittorio, popolato da etnie che si dividono lo spazio in modo tribale: qui ci sono da una parte gli ebrei di Russia, dall'altra parte ci sono i cabardi che sono vicini ai ceceni ergo in maggioranza islamici. E poi c'è una storia d'amore tra un'ebrea dal volto duro da meccanico (lavora nell'officina di casa con il padre) che ricorda tantissimo Rosetta dei Dardenne e un tipico cabardo sempre in tuta e col vizio dell'alcol e non solo. E ci sono delle sparizioni, come il fratello dell'ebrea, a cui segue un'organizzazione comunitaria fatta di proposte di matrimoni in combine e tentativi di collette per il salatissimo riscatto. Il destino sarebbe quello di andar via, ma c'è chi rimane.

La macchina da presa di Balagov è ancorata ai volti dei personaggi e ne esplora le appartenenze etniche e religiose e le voglie di libertà individuali. La gravità e lo sfondo di un ambiente off limits, in un periodo storico peraltro difficilissimo (gli anni '90 nelle Repubbliche ex sovietiche), giustificano gli interventi in prima persona iniziali dell'autore, che per tutto il film prende delle decisioni di stile altre rispetto ai canoni dell'autorialità occidentale. Il suo è un film russo vero, che dal naïf allo sbalorditivo è capace di trovate che si sposano alla perfezione con il sottobosco sociale che descrive.

Un esordio, un gioiello, uscito in Italia d'estate e con due anni di ritardo. Aspettiamo con trepidazione Balagov alla seconda prova, presentata quest'anno a Cannes e ambientata nella Leningrado del 1945.


VP