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domenica 24 maggio 2015

RIVEDERE BLADE RUNNER IN SALA (24/05/2015)

Esiste una parte cospicua di critici cinematografici che crede fermamente nell'unicità della visione, che l'esperienza filmica non sia la stessa se replicata più volte, quando l'elemento "ricordo" accoglie la nuova esperienza con la comodità del già conosciuto. È il punto di vista ad esempio di Gian Luigi Rondi, per cui i film della Storia del Cinema sono fin troppi per essere rivisti.

Di questo avviso lo sono anch'io: rivedere un film più volte altera i giudizi e non importa se una stessa pellicola, goduta in momenti diversi delle nostre esistenze, si carichi di significati diversi. Non importa neanche che un film che al tempo consideravamo brutto, visto in un'altra ottica (e con la saggezza del tempo trascorso) diventi invece un ottimo esemplare che codifichi un'epoca. Uno non dovrebbe mai scrivere la recensione di un film già visto.

E invece accade che gli amici di un cineforum ci tengano a condividere con te la visione di Frank Costello Faccia D'Angelo di Melville oppure che sfogliando le pagine di un diario scolastico degli anni '90 si scopra d'aver dato una stella su cinque a un film di John Carpenter che, rivisto in televisione qualche anno fa, di stelle ne meritava almeno due in più.

È la vita che rovina l'unicità, d'altronde siamo uomini e non macchine. Le nostre ideologie, anche le più ferme, vacillano di fronte alle attrazioni che ci seducono all'istante. Attrazioni come il trailer di un film già visto, proiettato nella sala di un cinema "moderno", che ci solletica il sentimento mentre ci prepariamo ad accogliere le immagini dei film dei nostri giorni.

La multisala The Space Moderno di piazza della Repubblica non è nuova in proposte di questo tipo. Una tantum al mese si spoglia della sua natura di esercizio commerciale e propone film storici come fosse un d'essay d'autore. Viene da ripensare a quando ero bambino, quando il Moderno era addirittura un cinema a luci rosse. Si può dire che quando leggo che al The Space danno la copia restaurata di un'opera del primo Wenders, l'anima primordiale del cinema (nel senso più fisico del termine) torni in vita.

Eppure, per quanto le offerte fossero allettanti, mai m'era venuto il cruccio di uscire un martedì o un mercoledì notte per un bel film visto e rivisto, peraltro "intubato" e reperibile con estrema facilità anche dalla postazione da cui sto scrivendo ora. Ma stavolta no, stavolta ci dovevo essere. Quando prima di Black Sea con Jude Law mi trovai davanti al trailer di Blade Runner - The Final Cut mi segnai la data e decisi che non me lo sarei perso.

Il Final Cut di Blade Runner è la versione che in assoluto amiamo meno del filmone di Ridley Scott. Manca la voce off di Deckard, smonta completamente l'atmosfera da noir anni '40 proiettata in un futuro disastrato. E poi il finale! La versione voluta dal regista suggerisce che Deckard sia anch'egli un replicante, mentre quella manipolata dalla produzione, quella che amiamo inesorabilmente, punta tutto sull'irrisolto dando vita a una delle più straordinarie suggestioni dell'intera Storia del Cinema (chissà poi quanto davvero voluta).

Per chi non lo sapesse ancora, la sequenza finale della versione imposta, con Deckard e Rachel che fuggono sfrecciando su strada, equivale all'inizio di Shining con Jack Nicholson in macchina: è la stessa scena! Sarebbe a dire che le colonie dei viaggi extramondo, la destinazione finale dei due amanti, non siano altro che l'Overlook Hotel. Straordinario!

Ma pur senza la magia delle contraddizioni produttive (che in questo caso, al contrario della norma, erano benedette) si tratta pur sempre di Blade Runner. Di una storia, un film e ancor prima un romanzo, che scava nell'intimità di tutte le generazioni nate tra gli anni '60 e i '90. Blade Runner è una storia d'amore, un universo oscuro, piovoso e dominato dai neon, dove ognuno di noi ha lasciato parte di sé. Le architetture barocche, la musiche struggenti di Vangelis. Chi, essendo nato dopo l'82 (anno di uscita del film), non ha mai sognato che quello schermo così misero si trasformasse in uno che riempisse i pixel del nostro sguardo e che le note sintetiche del soundtrack ci carezzassero l'udito tramite un impianto all'altezza?

La sala è pienissima e questo non fa che confermare una cosa: la gente premia le cose che ama. 8 Euro di biglietto non sono un problema se c'è da coccolare i propri ricordi e l'amore che Blade Runner ci ha insegnato. Amore per i personaggi, le atmosfere, i destini, la storia. La visione si rivela spiazzante: ciò che sul piccolo schermo trascinava nel desiderio dell'esperienza più appagante della sala (scenografie, luci, costumi) risponde all'appello come una presenza scontata. La concentrazione dello spettatore si riversa così, inaspettatamente, sugli elementi che venivano surclassati dal potere delle immagini.
Ci si rende conto non solo di particolari difficili da catturare in TV (tipo che nell'inseguimento di Deckard contro la showgirl dei serpenti, un nano gli tira qualcosa dalla cappotta di un'auto), ma anche di buchi della sceneggiatura a cui non avevamo mai fatto caso. Anche ad esempio dei dialoghi: quel "baciami" detto a Rachel è un artifizio che rende leggermente pacchiana una scena così sensibile.

Al termine viene da pensare allo sconcerto che avevamo provato leggendo la recensione del film ad opera di Leonard Maltin: "A triumph of production design, defeated by a muddled script and main characters with no appeal whatsoever" (un trionfo di design di produzione, penalizzato da uno script disordinato e personaggi senza alcun appeal). Una stella e mezza.

Per carità, Blade Runner rimane sempre uno spettacolo per gli occhi e per il cuore, un film nel quale ci siamo tutti noi con la nostra malinconia, coi nostri brividi. Ma tornando a casa, straniati dall'esperienza, quella recensione di Maltin ci sembra incredibilmente meno delirante.

Forse è proprio vero che i film non andrebbero mai rivisti.


VP