
Io, che nelle Istituzioni Europee quest'anno c'ho lavorato (molto bene), non posso tirarmi indietro nel dedicare ai miei ex compagni britannici (peraltro tra i più amichevoli all'interno del Parlamento e tra i più riconoscenti al termine dell'esperienza) un'idea di ciò che è stata, quest'anno come non mai, l'Europa, la nostra Europa.
Cercando di lasciare le retoriche e i naturali sentimentalismi da parte, nel possibile.
Questa storia ha un inizio lontano. Per tutti. E per tutti è un inizio diverso. Racconterò il mio e credo che ogni giovane uomo dell'Europa Occidentale ci si possa rivedere, nonché usare le mie memorie come porta per la propria.
Era un giorno piovoso dei primi anni '90 ed ero appena tornato a Roma da una vacanza nel Nord Africa con mia madre e il suo compagno; passammo in ufficio di quest'ultimo, che doveva sbrigare cose per l'agenzia di viaggi di cui era direttore, e m'accomodai ad una scrivania con davanti un computer e i quadratini da spuntare di Minesweeper. Un suo giovane collaboratore all'improvviso gli domandò: "com'è la questione della Cecoslovacchia? Di quale paese ora Praga è capitale?". Risposi io correttamente. Tutti in ufficio rimasero stupiti: ero un bambino e già sapevo cose che oggi farebbero ridere il più emarginato dei contadini, ma all'epoca non erano così scontate, in mancanza di Internet, con referenti quotidiani e i tour operator da contattare telefonicamente. Perché a 8 anni io sapevo che Praga fosse divenuta la capitale della Repubblica Ceca e Bratislava della Slovacchia? Perché ero affascinato dal mondo ex comunista, quel mondo che sembrava geograficamente così vicino eppure era così lontano, tanto che dalle esperienze finora fatte avevo capito che l'Egitto o la Tunisia fossero mete più facilmente raggiungibili per quanto non membri del mio stesso continente. Allora non immaginavo che qualche decennio più tardi i paesi di quel blocco sarebbero stati centrali nel mio percorso formativo, percorsi di frontiere e immaginari da superare. Per andare in Cecoslovacchia o posti limitrofi a quel tempo c'era bisogno del Visto, nessuno ti incentivava a partire, una volta superati gli scogli burocratici e linguistici venivi trattato da straniero (un turista) a cui dare un buon (falso) ricordo di sé.


Perché ovviamente un mondo di questo tipo, che si nutre di inter-rail, Erasmus, programmi di scambio, amicizie e fidanzamenti con gente di paesi e culture sempre così lontane e così vicine, senza dubbio una cosa disincentiva: un percorso stabile secondo tradizioni nazionali consolidate. I matrimoni e le nascite. Gli europei hanno paura del futuro perché da 70 anni non sono più abituati a convivere con l'idea di una morte prematura magari per mano di una granata; da ciò attingono il terrorismo di marca religiosa e gli scetticismi di tutta quella parte della popolazione che proprio non ci sta a modificare velocemente le proprie conquiste. Conquiste che cozzano con un'economia mobile e funzionante, in cui la tecnologia e il Progresso corrono all'impazzata senza che i popoli riescano a tenergli testa.

Il primo giorno a Bruxelles l'emozione era tanta, mentre mi spiegavano il lavoro (dovevo proiettare le news sugli schermi del Parlamento) le lacrime sgorgavano. Era l'inizio di un sogno forse arrivato troppo tardi, a 32 anni. E questo sogno ho provato a viverlo tutti i giorni, senza interruzioni. Di cose ne ho viste e scoperte tante.
Esempi? La bufala del latte in polvere tesa a gettare fango sulle Istituzioni, il numero mostruoso di compagnie greche (e di altre nazioni in crisi) che s'appoggiano all'Europa, a fronte di numeri ridicoli per ciò che invece riguarda i paesi più ricchi (i partner scandinavi ad esempio sono una penuria). Le attività connesse al Parlamento che hanno portato in luce le differenze culturali di ogni singola nazione rappresentata: francesi, inglesi, tedeschi e nordici hanno sempre la tendenza a frequentare e appoggiarsi agli eventi ed agli ambienti ufficiali, est europei e latini (non a caso le nazioni meno organizzate e che si nutrono di anti-Politica), italiani in testa, sono i più indipendenti e restii a rimanere nell'orbita dell'ufficialità. Cercano spazi più personali e avulsi, che non godono invece della credibilità dei nordici occidentali. I britannici t'includono nelle confraternite e anche dopo mesi dall'ultima volta che vi siete visti ti trattano da membro, ricordando con toni epici le non sempre interessanti esperienze comuni. I francofoni hanno sempre il naso un po' all'insù, i polacchi e i baltici sentono maggiormente la competizione ma in un modo tutto loro. Gli italiani si fanno ben volere e vivono di un edonismo dai tratti malinconici nascosti col sorriso, sputtanano il loro paese con convinzione, quando invece lo scandalo Mercedes gli permetterebbe di alzare la testa ad esempio nei confronti dei tedeschi, che invece si proteggono a vicenda col silenzio in attesa tutto passi. Gli spagnoli fanno sempre un gran chiasso in branco, poco propensi a parlare lingue straniere.

E mentre salutavo un romano chiedendomi chi fosse e perché conoscesse il mio nome, un rumeno che mi trattava da amico e una biondina francese dall'eleganza sofisticata che pareva snobbarti anche con un sorriso, l'unica domanda che potevo farmi era: 'saremo mai un giorno davvero tutti uniti?'.
VP