Esistono opere che mettono di per sé in guardia, anche solo per la loro struttura esterna di libri, robe di circa 1180 pagine di narrazione più in questo caso altre centinaia di pagine scritte in caratteri ancora più piccoli, che reclamano attenzione e continui stravolgimenti fisici durante una lettura che diventa tribolante per gli arti che si addormentano e i muscoli dell'addome continuamente stimolati mentre sdraiato sostieni il peso di un mattone. Una roba che vista da fuori e da lontano ha l'aria minacciosa di un uomo piazzato e anche un po' sovrappeso (un po' come uno dei personaggi veri con cui dovremo fare i conti in questo libro) con cui ti trovi tuo malgrado quando magari gli tamponi la macchina o in ogni caso gli fai veramente rodere il culo.

Dunque quando ho iniziato ad approcciare la letteratura (soprattutto americana) avevo 12 anni ed era la metà degli anni '90. Dai mondi fantastici citati in precedenza e le impegnative iniziazioni ai temi sociali del dramma umano, il passo successivo fu il minimalismo, la ricerca di uno stile accattivante che accompagnasse la mia adolescenza. Minimalismo equivale ad anni '80, giovani ventenni che fanno gli exploit e iniziano una carriera in cui la sintassi corta incontra lo stupore, il significato è nascosto ma intuibile, i mondi dei giovani newyorkesi e losangelini riflettono le contraddizioni del tempo. Parlo di tanti autori, ma soprattutto di due in particolare: Bret Easton Ellis (Less Than Zero, American Psycho) e Jay McInerney (Le Mille Luci Di New York). Questi due nomi non sono citati a caso, proprio in riferimento all'opera che mi accingo ad esplorare. Ed è una cosa davvero strana che mentre leggevo sempre in pieni anni '90 proprio American Psycho o l'opera del secondo, in America e poi nel resto del mondo un altro scrittore diventava forse la più grande star letteraria, paragonabile ad un'icona rock, del firmamento.

Già perché qui bisogna inquadrare il personaggio di cui stiamo parlando, a partire proprio dalla tragica morte del settembre 2008 a.S.; lo scrittore e saggista (ma anche insegnante universitario) di grandissimo successo David Foster Wallace, un ragazzo di appena 46 anni, dunque una persona realizzata secondo i desideri e le legittime aspirazioni di una persona che scrive, dal carattere schivo e poco atto agli intrallazzi mondani, spesso troppo serioso ai limiti del patetico e spesso fotografato o raffigurato con una bandana in fronte (secondo lui per la paura che la testa possa aprirsi durante la scrittura), raggiunge l'aura di maledettismo propria di tante rockstar morte giovani (da Janis Joplin a Jimi Hendrix) legando una corda ad una trave della sua dimora californiana e infine impiccandosi. Un po' come il personaggio del suo Infinite Jest, seconda opera che lo portò alla grande ribalta nazionale e internazionale, James O. Incandenza, cineasta d'avanguardia nonché fondatore della più prestigiosa accademia tennistica di Boston, che per un'oscura ragione, che poi scopriremo, infila la testa nel micro-onde di casa e inserisce i titoli di coda alla propria esistenza. Wallace è citato anche da Niccolò Contessa in arte I Cani nel suo singolo Hipsteria: era lo scrittore che la Caterina vestita con abiti a righe legge a Central Park in una ipotetica e sognata vita newyorkese.
Dunque un personaggio che non solo ha scalfito il mondo della letteratura contemporanea americana (per Time e il Los Angeles Times è uno degli scrittori più influenti del Novecento statunitense, senza ombra di dubbio), ma che si è imposto nell'estetica di massa e nella sensibilità dell'avanguardia modaiola dell'hipsteria a cavallo tra anni Novanta e Duemila. Nelle poche interviste che Wallace concedeva ai network salgono alla ribalta tante caratteristiche proprie di un modo di essere giovani alternativi nel mondo occidentale dell'era globalizzata: capelli lunghi, barba e vestiario da campagnolo metropolitano e tic da film di Wes Anderson, una sensibilità mostrata in ragionamenti laterali che uniscono una freddezza dialettica con l'instabilità dell'umore. Una persona schiava del suo essere lunatica, stato espresso senza alcuna restrizione.

Ancor prima di analizzare a fondo questa opera mondo, dall'aspetto più superficiale a quello più nascosto, non posso non addentrami in quella che è stata la curiosità, dubbio, incredulità che mi ha accompagnato la lettura fino alla fine: ovvero come abbia fatto una roba del genere ad avere un successo così clamoroso, soprattutto in un paese come gli Stati Uniti d'America, dove la pubblicità televisiva (e non) è martellante, lo stile di vita almeno nelle grandi città è frenetico e il pensiero e la predisposizione a capire le cose con lentezza e pazienza è sicuramente meno sviluppata rispetto ad altre parti del globo. Per carità, negli USA a dire il vero ci sono dei lettori fortissimi ed è uno dei paesi in cui uno scrittore può avere la seria possibilità non solo di venir pubblicato e vendere, ma anche di ricevere l'attenzione adeguata e il riconoscimento del talento da parte di una grande massa e di un'industria che lo valorizza. Ma se questo funziona per opere avvolgenti, fresche, leggere o impegnate con molta onestà intellettuale e coscienza verso le istanze del lettore, invece appare incredibile per un'opera assai diversa come Infinite Jest.


Infinite Jest è un'opera narrativa in prosa (il che non vuol dire necessariamente che sia un romanzo come dice il traduttore Edoardo Nesi, il Premio Strega 2011 per Storia Della Mia Gente, nella piccola prefazione) divisa in corpo principale e "note ed errata corrige". E qui abbiamo il primo rebus da sciogliere: cosa sono degli errata corrige per Wallace? In questo caso non sono delle spiegazioni o dei piccoli riempitivi di parole o frasi della parte principale. Negli errata corrige ci sono pagine e pagine di narrazione, che potrebbero essere assolutamente messe nel corpo principale proprio in quanto hanno un'importanza e una forma non subordinata. Il contenuto di questi errata corrige è vario: si va da informazioni sulle innumerevoli sigle sparse alle biografie o addirittura filmografie dei personaggi agli eventi narrati alle formule matematiche che spiegano le dinamiche di determinati atti degli stessi. Dunque il lettore deve armarsi di santa pazienza e usare quantomeno due segnalibri, nonché si trova a sfogliare continuamente ribaltando sottosopra l'oggetto libro, pesante e voluminoso.
Leggere Infinite Jest è un atto fisico e David Foster Wallace pretende dal lettore una fiducia spesso mal riposta nella sua onestà intellettuale. È pretenzioso, irritante e autocompiaciuto: intende creare un mondo letterario con delle regole esclusivamente proprie che vanno per l'appunto dall'ordine degli eventi narrati alla disposizione delle note in fondo alla sintassi grammaticale, ma di quest'ultima ancora non parliamo...
Prima ancora di svelare la storia, davvero povera da un certo punto di vista, su cui la narrazione si dipana, è bene inquadrare innanzitutto l'ambientazione e la l'arco temporale degli eventi, che non sono assolutamente lineari e di cui andando avanti scopriremo la beffa, quando lo scrittore ci svela l'ordine degli anni. Sì perché Infinite Jest non segue il calendario gregoriano: gli anni non tengono più conto della nascita di Cristo, bensì sono comprati da aziende che danno loro il nome. Tutto ciò che c'è stato prima è catalogato nell'ante Sponsorizzazione (o A.S. come sarà riportato più volte nel testo), dopodiché ci ritroviamo davanti a nomi alquanto bizzarri come ad esempio l'Anno Del Pannolone Per Adulti Depend, in cui è ambientata la fetta assolutamente più grossa degli eventi narrati, Anno Del Whopper o Anno Della Saponetta Dove In Formato Prova e così via. L'effetto è senza dubbio straniante nel suo surrealismo: durante le prime letture quasi si fatica a prendere sul serio questa catalogazione, ma poi ci si fa l'abitudine anche e soprattutto quando Wallace decide di spiegare la sequenza del tempo sponsorizzato su per giù a metà libro (e figuriamoci se non fosse così!).


Immediatamente accanto alla Enfield Tennis Academy sorge un'altra struttura, stavolta con una fauna umana molto diversa: è la Ennet House, una casa di recupero per tossicodipendenza e alcolismo, in pratica quel che noi conosciamo come rehab: una struttura che ospita gli scarti della società e i veri sconfitti del libero mercato, coloro che non sono riusciti a essere competitivi e affogano nelle loro memorie dolorose, le ambiguità della vita che hanno sprigionato vortici di violenza che portano a uccidere persone o gatti o cani per strada.
Queste due ambientazioni sono esplorate seguendo le azioni e con gli occhi (in merito alla Enfield visto che Wallace usa la prima persona in quel caso) dei due personaggi che svettano tra le moltitudine di diversi caratteri e di storie: Hal Incandenza e Don Gately. Hal (che già dal nome sembra un omaggio a 2001: Odissea Nello Spazio, il cui HAL9000 era di conseguenza un rimando alla IBM... la I, la B e la M sono le lettere immediatamente successive a quelle che compongono il nome HAL) non è solo uno dei migliori esponenti del tennis nordamericano e non è coccolato e rispettato da tutti esclusivamente per meriti personali: è il figlio del fondatore dell'ETA, tale Lui in Persona, ovvero James O. Incandenza.
Quest'ultimo è un personaggio davvero strambo: sposato con una québechiana, madre severa e affettuosa al contempo e donna fascinosa (che ricorda curiosamente nelle descrizioni la moglie cattolica dello Svedese ebreo di Pastorale Americana di Philip Roth), Lui in Persona più che essere il direttore di un'istituzione sportiva importante è in realtà un intellettuale cinematografico. Proprio così: è un regista di film d'ultra-avanguardia girati per supporti analogici avanzati (nel tempo di Infinite Jest, qualunque esso sia, i film, i videogiochi, le videochiamate vengono fatte tramite un device chiamato Teleputer, il TP, che funziona a cartucce e che secondo le descrizioni che se ne fanno per tutto il libro sembra una specie di Super Nintendo con schermo o ologramma incorporato... incredibile come nel 1996, quando i CD digitali erano una realtà, anche se Wallace ha impiegato 4 anni a scrivere ergo aveva in mente la tecnologia dei primi anni '90, all'alba del web 1.0 non si intravedessero i passi che il digitale avrebbe fatto negli anni a venire... l'effetto oggi sa tanto di fantascienza avveniristica tecnologicamente obsoleta, un po' quando rivediamo il futuro di Blade Runner col senno dei nostri tempi) e che si rifanno alle lezioni di André Bazin e della Nouvelle Vague.

Ora devo fare una piccola parentesi sulle mie esperienze in America, dove sono stato un paio di volte abbondanti, soprattutto quando mi trovavo a UCLA (Università of California Los Angeles) e m'infilai in uno dei corsi di Cinema di una delle facoltà di Performing Arts più illustri al mondo. Ho parlato con dozzine di ragazzi e anche di docenti di Storia del Cinema o di Critica Cinematografica con cui ho sempre avuto grande difficoltà nel trattare i film d'autore europei della Settima Arte che fu. Giuro di non essere mai riuscito a parlare di Bresson con un americano, così come di Dreyer o come delle avanguardie sovietiche. Tante volte gli americani non sapevano dirmi nulla di Freaks di Tod Browning, proprio uno dei capolavori intoccabili e anche piuttosto brevi della loro cinematografia. Il massimo della cultura filmica che sono riuscito a raggiungere riguardava Fellini e Bergman, ma mai dalla bocca di un americano ho mai sentito uscire il nome di Bresson, che detto tra noi è senza dubbio sul podio degli autori che più mi hanno influenzato nel mio modo di intendere il Cinema. Chissà se al buon Robert sarebbe piaciuto Infinite Jest: secondo me sì.
Tornando a Lui in Persona (Mr. Incandenza, che tanti vuoti e complessi ha lasciato a moglie e figli) e alla sua filmografia ci sono dei buchi. Buchi che rappresentano la trama del libro stesso. Buchi che hanno un titolo in comune: Infinite Jest (1) (2) (3) fino al 5, se ben mi ricordo. Dovrebbero essere delle lavorazioni andate perdute di un fatidico progetto avvolto nel mistero e che forse sono alla base del suicidio del regista (che come già accennato infila la testa dentro il forno a micro-onde di casa). Incandenza avrebbe girato un film in grado di dare una dipendenza letale: qualsiasi persona si trovi a guardare Infinite Jest non lascia lo schermo neanche per un secondo, continua a riavvolgere la cartuccia senza mai staccare gli occhi dal video, non mangia, beve o dorme più e infine muore di disidratazione e inedia.
Lo chiamano l'Intrattenimento o talvolta, soprattutto i terroristi québechiani, il "samizdat". Già perché la vera storia di cui ci vuole far consapevoli (più ancora che raccontare, visto che lo sviluppo della trama quasi non esiste) David Foster Wallace è esattamente la seguente: tutti sono alla ricerca spasmodica della cartuccia introvabile dell'Intrattenimento, soprattutto i terroristi québechiani che vorrebbero diffonderlo su larga scala, soprattutto quelli più facinorosi e sicuri di voler far saltare in aria l'ONAN raccolti in un'organizzazione che prende il nome di "Les Assassins en Fauteuils Roulants", ovvero gli assassini sulle sedie a rotelle, di cui uno di nome Remy Marathe collabora a Tucson con uno strano agente segreto statunitense che prende il nome di Hugh Steeply, che si presenta come "agente dei servizi non specificati" e ha le sembianze di un transessuale (vestito con abiti femminili) per quanto non lo sia davvero.
È il personaggio che in assoluto mi ha incuriosito di più di questo libro e ricorda molto vagamente l'agente dell'FBI impersonato da David Duchovny in Twin Peaks. È un personaggio che sembra davvero centrale per buona parte del libro fino a poco più della metà (diciamo pagina 750), dopodiché scompare del tutto; per quanto sia fermamente statunitense e dunque in teoria favorevole all'ONAN non si capisce mai perché collabori col violento e astioso Marathe. Incontriamo i due per più capitoli ambientati nelle radure aride di Tucson (Arizona) mentre parlano di principi e ideologie separatiste. In particolare c'è un capitolo particolarmente significativo e che da solo dà un'interpretazione importante dell'opera di Wallace.
Marathe incalza Steeply sul senso dell'educazione anche alimentare in un paese come gli Stati Uniti in cui volendo un bambino potrebbe continuare a mangiare caramelle dolci senza nutrirsi in modo corretto. Che padre sarebbe colui che lascia mangiare le caramelle a suo figlio senza sgridarlo, un uomo per cui non esisterebbe nulla per cui sacrificare la vita? Si chiede il québechiano e sono le domande che Wallace deve essersi posto un sacco di volte, nella sua prigionia intellettuale, nel suo dolore di essere umanista e intellettuale di un paese che premia la perseveranza e la libertà anche di consumare all'infinito e farsi del male. Non c'è più un'educazione, non c'è una via, un filo sano che collega il passato da conservare ad un futuro fatto di progresso umano. Tutto è materia, tutto è vistoso e visibile, tutto è consumabile, anche la vita.

Soprattutto la linea di Gately, ma talvolta anche quella di Hal quando fa uso di sostanze oppure quelle dei fratelli Mario Incandenza (documentarista invalido fisicamente) e Orin Incandenza (un ex tennista riciclato come punter nel football americano, che dopo un'intervista si avvicina ambiguamente alle istanze dei québechiani), è caratterizzata da uno stile di scrittura che contraddistingue pesantemente l'opera. La fatica a macinare pagine è tanta perché Infinite Jest è scritto a mattone, ovvero con pochissimi accapo quando ve ne sono in un flusso di coscienza continuo che si fa beffe della sintassi di una frase. Spesse volte Wallace apre un discorso in un modo o lo termina in un altro e questo ha a che vedere anche con il contenuto delle frasi stesse. Che spesso diventano lunghissime arrivando quasi a soffocare il lettore.

In questo caso sarebbe stato opportuno leggere Infinite Jest in lingua originale, cosa che non accadrà mai per evidenti ragioni: l'autore stesso, più volte interpellato, era fermamente contrario alle traduzioni e in generale al lavoro di quelli come Edoardo Nesi. Si sentiva uno scrittore americano in tutto e per tutto e non c'è citazione di Bresson che tenga. Il suo Infinite Jest esiste solo in inglese e in quello slang, che immagino possa essere molto onomatopeico riuscendo forse a mitigare lo stress di una sfilza continua ed enciclopedica di sigle di sostanze psicotrope che in special modo ad inizio lettura letteralmente aggredisce il lettore.
Sicuramente Wallace non si è mai autocensurato né limitato a esprimere se stesso e il suo mondo autoreferenziale. Non si è mai fatto esami di coscienza nei confronti del lettore, mettere in dubbio la sua onestà linguistica e intellettuale. Wallace esprime se stesso senza vincoli ed è incredibile che uno che riesce a farsi leggere da una massa così rilevante di persone poi finisca per impiccarsi in pieno successo e fama.
Persone che forse Infinite Jest non l'hanno letto tutto. Perché una delle sorprese alla fine del libro, quando più o meno si ha una percezione netta delle 1300 pagine passate, è constatare che non solo la magra narrazione non lineare in realtà cronologicamente termina al primo capitolo (e ci si sente un po' presi in giro), ma in definitiva questo grosso tomo, tenendo ben presente l'assunto di base che ho appena finito di riportare brevemente in questo articolo, può essere letto partendo da qualsiasi posizione della narrazione principale o anche volendo degli errata corrige. In realtà non è fondamentale leggerlo dall'inizio alla fine come ho fatto io e (tanti? pochi?) altri.
Infinite Jest è una raccolta di scorie letterarie da mondo post-industriale post-moderno. Uno degli esempi più unici e forse proprio per questo affascinanti di libro oggetto e di universo letterario imperfetto. Una materia letteraria irregolare uscita nel '96 (e probabilmente letto in quegli anni, quando ero appena tredicenne, doveva risultare ancora più straniante ed evocativo, sicuramente un'esperienza molto diversa di quella che è stata per me nel 2018) e che rappresenta un'avanguardia assoluta di arte contemporanea applicata alla Letteratura.
Probabilmente Wallace voleva questo e questo è stato. Wallace di cui, ammetto, non leggerò più altro che non sia qualche estratto da questa lunga epopea. In definitiva è stato un viaggio di cui parlerò e che mi ha lasciato sensazioni vivide, ma davvero tanto, troppo stancante.
La Letteratura è anche questo ed è anche giusto così. Non amo Infinite Jest e il suo autore, ma sono felice che esista in tutta la sua imperdonabile disonestà.
VP