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lunedì 5 settembre 2016

CHARLIE HEBDO E I CONFINI DEL SARCASMO (05/09/2016)

Si può finire impiastrati di rosso come penne alla salsa di pomodoro o ricoperti di terriccio come penne gratinate o addirittura finire sotto le macerie come strati di lasagne. Soprattutto in Italia, dove nel bene e nel male il cibo riveste un'importanza iconica di rilievo internazionale.

L'Italia è il cibo, il sole e un folklore da dopoguerra povero in cui il sorriso dei bambini in pantaloni corti, che giocano a palla per strada, colora la polvere. Questa è una cosa di cui bisogna prendere atto: tutti vorremmo distaccarci dal vecchiume da cartolina appioppatoci dalla Storia e dalle percezione dei popoli più freddi, ma come mi disse un grande produttore italiano di fiction, figlio d'arte di grande produttore di Cinema d'autore, quello bello, "non dobbiamo vergognarci di essere italiani". Per la cronaca, con lui mi lamentavo dei prodotti destinati al mercato estero, quel sottolineare sempre e comunque gli aspetti più animali dell'italianità, la semplicità della gente buona che segue i greggi e ha vissuto l'industrializzazione novecentesca come deriva culturale. Non un cambiamento positivo di pensieri e aspettative.

Poi in Bulgaria, l'estate scorsa, la ragazza con cui stavo ed io ci piazzammo davanti alla TV a vedere una roba di due puntate lunghe su Modugno: un successo internazionale con Beppe Fiorello, che piacque tanto a chi mi era accanto, che appena qualche giorno prima aveva visionato con me i primi due capitoli della Trilogia Della Vita di Pasolini.

Essere moderni e tendere all'intellettualismo come pratica dello spirito in Italia è difficilissimo, soprattutto perché anche all'estero quasi nessuno, solo una piccolissima nicchia, è così interessato alla parte più cerebrale dello stivale. Ovviamente la grandissima parte della popolazione non aiuta, visto che in fondo i valori di base rimangono sempre quelli, le tradizioni da onorare e la terra per cui lottare e nel caso piangere.

Il 24 agosto 2016 che il centro Italia di notte tremò, ed io ero ancora sveglio a casa a Roma a preparare la valigia per un viaggio a Budapest, è tornato più forte che mai lo spettro di ciò che accadde qualche anno fa a l'Aquila. È di nuovo la volta dei vuoti, delle angosce, della RAI che trasmette le prime notizie e del resto dei giornali online che (Repubblica a parte) ancora è sotto le coperte, impreparato per un evento di simile portata. Tutti fissi davanti a televisori e computer, con le chiavi a portata di mano per correre verso l'uscita qualora le mura possano ballare di nuovo. Scosse a magnitudo 6 e passa, con altre scossette di assestamento che a Roma hanno significato nausea e paura, ad Amatrice e nei borghi di quell'Italia tra Lazio, Umbria e Marche, antica e bella, che abbiamo tanto criticato come sfondi di storie e miti televisivi per vecchi in prima serata e stranieri innamorati della semplicità retrograda, hanno significato distruzione e morte.

Non ce lo saremmo mai immaginato, ma Charlie Hebdo ha sferrato il suo attacco. "Séisme À l'Italienne", qualcosa che forse avrebbe provocato un ghigno (di cattiveria o menefreghismo) se quel "séisme" non fosse accaduto a pochi chilometri da me e se il 24 agosto non fossi partito per l'Ungheria senza aver dormito un'ora.

La rivista satirica, immorale, irresponsabile, dichiaratamente provocatoria di statuto (e vittima del terrorismo con grande levata di scudi soprattutto da parte di chi ora alza la voce, all'epoca difensore della Libertà di espressione soprattutto in funzione anti-islamica e anti-migratoria), ha dimostrato di non fermarsi davanti a nulla: dritto per dritto infliggendo il colpo più basso, atto a far male, a individuare il punto debole per girare il coltello nella piaga.

E pone un dilemma, un dilemma cruciale, per tutte le persone che come me ritengono la Libertà (anche di far male con le parole) un valore assoluto che in una società giustamente relativista e inclusiva (la più democratica mai avuta nella Storia, checché ne dica l'epica complottista e anti-europeista) non può mai essere messo in discussione. Una cosa che vale anche più di qualsiasi vita umana, anche della mia o di un bambino che nasce.

La satira cattiva, il sarcasmo, la capacità di osare, l'umorismo nero, sono strumenti sacri, che vanno usati con delicatezza e sorretti da una grande onestà intellettuale. Così l'Uomo può irridere le disgrazie, irridere la morte, irridere il tradizionalismo, proteggersi dai fascismi e dall'uniformità. Tendere ad un Superomismo che ponga la mente al di sopra degli istinti animali di conservazione.

Questo blog (e la mia persona) fa grande uso di questi strumenti e ne rivendica la bontà spirituale. Ovviamente il mondo conservatore è assai restio dall'accettare tutto ciò e se davvero si vuole intraprendere una strada intellettuale (che è una strada molto simile a quella religiosa, con i suoi martiri schiacciati dai poteri autoritari e dalla coscienza di un popolo spesso uniforme e animale) bisogna anche affiancarle un senso di responsabilità.

Ogni uomo sulla faccia della Terra almeno una volta dovrebbe chiedersi: in una scala di valori, quanto è importante la (contro)Cultura rispetto alla vita umana?

La critica, il sarcasmo, la sottigliezza hanno rovinato molti dei rapporti che avevo con persone che si sono sentite attaccate nei principi di base. Ho litigato con americani per la mia critica al libero mercato, ho litigato con russi e slavi per l'idiozia del patriottismo, ho litigato con tedeschi e berlinesi di adozione per il mio post sulla capitale tedesca. Se si vuole davvero essere liberi bisogna mettere in conto i sacrifici che inevitabilmente pregiudicano tante cose della vita. Perché ogni intellettuale, stupido o saggio che sia, deve vedersela con ogni singolo granello che, unito ad altri granelli, forma la massa, il popolo, con sentimenti collettivi ereditati dalla Storia. Sentimenti che l'intellettualismo punta inevitabilmente a distruggere per ricreare un nuovo mondo ideale.

Da vittima parziale del terremoto capisco perfettamente la rabbia e il dolore delle vittime reali, quelle che hanno perso parenti e abitazioni. Io stesso non sono riuscito a ridere, a ghignare, a dare sfogo al mio buon cattivismo, sempre attratto dalle forme grottesche e da un pensiero laterale. Dirò di più: i simboli culinari associati al terremoto in Italia sviliscono anche la portata cinica del fatto. Nel lavoro della nuova redazione di Charlie Hebdo (nata sulle ceneri di chi l'anno scorso ha perso la vita sull'altare di Maometto) non c'è davvero nulla di profondo, sagace e satirico. Immagini stereotipate che forse in Francia o Belgio sono normali: in fondo io italiano sono un mangiaspaghetti, come loro sono dei mangiabaguette, come gli americani sono dei mangiahamburger, come i russi sono delle spugne impregnate di vodka. L'effetto è quello di una gratuità commerciale e banale, che non mi fa neanche arrabbiare.

Infatti la cosa peggiore è proprio questa: la vignetta di Charlie Hebdo non offende me, che sono del centro Italia, e non dovrebbe neanche offendere le vittime e i parenti delle vittime, che in realtà sono più scosse dal procedimento mentale che ha portato alla vignetta che dalla vignetta stessa. Peraltro Charlie Hebdo non ruba i soldi a nessuno: non è Wanna Marchi che si prende gioco degli incapaci. Charlie Hebdo ti sbatte in faccia un cinismo da affrontare a muso duro o a cui volgere le spalle.

Se si è davvero scossi da una tale banalizzazione, con Charlie Hebdo che di fatto avrebbe colto nel segno, non c'è nessun modo più doloroso per fargliela pagare. Il peggio per ogni creativo o intellettuale che sia: l'indifferenza. Meglio la morte della noncuranza: quella dei libri scartati dalle case editrici e finiti al macero, quello delle riviste che rimangono in edicola e che per forza di cose non trovano più sponsor e un giorno chiuderanno. Ogni lamento, ogni urlo, ogni scandalo si tramuta in pubblicità per Charlie Hebdo.

Non farsi coinvolgere, non finire nella trappola, e continuare sempre a dire: "je suis pour la Liberté d'expression". Siamo parte di un mondo in cui ogni redazione o singolo individuo può permettersi di fare lo stronzo, tutelato dalle leggi e senza forche gaudine. Evviva!


VP