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giovedì 1 settembre 2016

LADISPOLI EXPRESS (01/09/2016)

La fila dei turisti ai Musei Vaticani supera le strisce costringendo le macchine a fermarsi più di una volta. Macchine impazienti, che procedono spedite verso l'Aurelia, una strada un portale, una via di fuga dal chiasso e dallo smog. Si spera che mano a mano che ci si allontana dai cunicoli di palazzine sgargianti tutt'attorno piazzale Clodio, il venticello, che soffia accompagnato dalle onde del mare, trastulli i pori in agonia e sarà subito vacanza, subito lungomare, subito bancarelle ai lati di una strada non così diversa rispetto alla periferia della grande città da cui si proviene. Quasi un continuo, la rassicurazione che in fondo le cose non sono così diverse: c'è solo aria buona, sodio e cappa al massimo a mezzodì.

Ladispoli si presenta con un grande ponte sulla marana, che porta alla piazzetta centrale che invita a sinistra alla passeggiata sulla costa, a destra all'alveare edilizio costruito appositamente per un fine nobile: dare alloggio alla maggior parte delle persone che vivono e lavorano (oppure lavorano e basta) a Roma e l'opportunità di vivere una villeggiatura non costosa e ben curata.

Dall'altra parte del Tirreno c'è la Sardegna, con le sue spiagge paradisiache e l'opulenza billionaria. Ladispoli non vuole assolutamente competere in quel settore, non le interessa. Ladispoli è la storia di una piccola borghesia che va in Paradiso, una favola che dal dopoguerra è alla portata di un'umanità umile e spensierata, di tutti quegli Alberto Sordi e Anna Magnani che riproducevano nella vita reale gli input di benessere che gli esempi su schermo presentavano. C'è un'acqua pulita, a volte sorprendente, un lungomare da fare su e giù, stabilimenti balneari e baretti in cui sedersi all'aperto e godere della frescura umida che allieta le nottate. Ci sono eventi su eventi, che si traducono in esaltazione di un immaginario televisivo e musicale che appartiene a tutti: dalla nonna che guarda la De Filippi o Barbara D'Urso nel primo pomeriggio all'adolescente con gli ormoni in subbuglio, pronto a riempire i muretti del lungomare in attesa di una ragazza timida a cui scrivere col pennarello frasi d'amore.

"Per quest'anno non cambiare, stessa spiaggia, stesso mare" diceva una vecchia e popolare canzone giovanistica, di una gioventù pre-contestazione, si intende. Ed effettivamente sembra tutto così immutato tanto che a cantare una canzone rappresentativa anche di questi anni postmoderni potrebbe essere lo stesso Edorardo Vianello: cambiano le mode, cambiano i colori delle vetrine dei negozi (con marchi italiani che avevo visto più in Ucraina che a Roma in centro... e che all'epoca mi chiedevo fossero veri), i ciuffi dei capelli non più sparati all'insù col gel bensì scalati con un orribile doppio taglio e una barba da guerriero spartano glamourizzato da Hollywood (tanti Leonida, più di 300!), ma lo spirito di questa ridente e rilassata località balneare è immutato.

Uno spirito che esalta la famiglia: tanti passeggini in vista, tante giovani coppie che a Roma ormai si vedono poco. O voi preoccupati dalla crescita zero dell'Italia, uscite un po' dalla città per rallegrarvi: esisteranno dei veri italiani anche nei prossimi decenni! I giovani sono seduti sui marmi bianchi col mare alle spalle e davanti loro c'è un via vai di gente, di nuove coppie, di fedeli cagnolini al guinzaglio, di anziani sottobraccio che danno l'esempio. Anziani che negli anni '60 erano proprio lì, magari senza trampoli, tatuaggi e smartphone in mano e che a loro volta rimpiazzavano le coppie del primo Novecento. È tutto chiaro, lineare: tutto strumentale, dalle librerie alle bancarelle al mercato del pesce dove si stringe amicizia e si parla delle bontà culinarie e non solo.

A Ladispoli non c'è niente di meglio dello stare con i propri cari in un'atmosfera distesa ma anche raccolta. E se l'intenzione è quella di procreare, non esiste nessun posto migliore di questo. La qualità della vita è ottima nella sua normalità quasi ostentata, la qualità del cibo pure, e a mezzora di treno scendi a San Pietro e a Trastevere. Non è un caso che a convivere con gli italiani reduci dall'immaginario positivo e conservatore degli anni '60 siano oggi i rumeni, gli albanesi, gli ucraini. Tutti i muratori e gli operai del sottoproletariato straniero in cerca di dignità.

Ricordo come fosse ieri l'unica persona con cui ho mai avuto un rapporto colloquiale a Ladispoli: un albanese che mi offrì di punto in bianco una birra al bar in cambio di una conversazione. Arrivò da Tirana con la famosa "nave dolce" e passò gran parte degli anni '90 a girare di città in città, finché un giorno d'estate, che non aveva un posto dove andare, arrivò a Ladispoli per dormire sulla spiaggia. Cinque-sei anni dopo era con me, appena ventenne, a chiacchierare di vita e destini.

Io a Ladispoli non ho amici. Non ho amici perché a Ladispoli ci sto quelle due settimane d'agosto in cui mamma non ne vuole proprio sapere di rimanere in città. Per tanti anni ho preferito andare in Sabina da mio padre, così sono più straniero di uno straniero. Non sono il tipo che offre birre al primo che incontra, né uno che si accomoderebbe mai su un muretto per fare comitiva (mai fatto). Sono uno spettro che cammina, cammina e cammina con le cuffie che mi sparano ai timpani una musica high energy olandese degli anni '80 dimenticata persino da chi la produsse all'epoca. Passo ogni volta alla fontanella per carezzare una delle stupende tartarughine acquatiche che attirano tanto la curiosità di bambini e mamme.

A Ladispoli, esattamente un anno fa, in un appartamento che non doveva essere tanto diverso da quello di mio nonno dove mamma ed io alloggiamo, moriva Laura Antonelli, la stupenda donna degli anni '70 che scatenò i pruriti di un'intera nazione. È andata via ingrassata, anzi oserei dire sformata, degente, in povertà, dimenticata da tutti, anche da quelli che ne avevano ammirato la malizia. La sua è una parabola di droghe, sfruttamento e un intervento estetico finito malissimo: una fortuna che gira le spalle e porta via la bellezza incredibile immortalata dalla celluloide. Camminando solo, in mezzo ai ragazzi che fanno i bellocci e si godono gli spettacoli offerti dagli stabilimenti (che spesso non sono altro che tributi di band ad artisti nazionalpopolari, Renato Zero e Lucio Battisti comandano), immagino Laura Antonelli prima di morire, completamente attorniata da questo oceano di normalità.

Lei che era trasgressiva, che da giovane si sarebbe divorata gran parte delle ragazze della controcultura odierna (Miss Kittin e compagnia cantante), doveva sentirsi davvero sola. Un po' come io, che, alla domanda di mia madre (tra i fuochi d'artificio e i falò sulla spiaggia con le danze latine e techno di Ferragosto) "perché non ti diverti qui, cosa c'è che ti manca? Cosa c'è di diverso rispetto a ciò che fai di solito?", non posso che rispondere: "qui non ci posso stare perché che ti piaccia o meno sono un alternativo e un alternativo ha bisogno dei suoi spazi e dei suoi tempi. Di gente che capisce e condivide un certo stile di vita, una coscienza altra da quella di una borghesia formato famiglia".

Mia madre mi irride, attacca facendo leva sulle mie insicurezze e la mia mancanza di valori veri. Ma io ho ragione: in posti del genere tutto ciò che di bello o brutto è successo negli ultimi 20 anni (soprattutto a Londra e a Berlino, la gentrificazione, l'accettazione e normalizzazione della diversità) appare così lontano. Un altro pianeta.

Incontro persino una ragazza bionda che al liceo faceva andare al manicomio tutti i ragazzi con la sua quinta di seno, i tacchi altissimi e le minigonne e le calze a rete in classe. È sposata con un ragazzo qualunque, neanche tanto bello, e ha tre figli (l'ultimo nel passeggino). Lei non mi riconosce ma una quindicina d'anni fa le ho fatto una corte spietata finché un coatto di Tor Tre Teste minacciò di tagliarmi lo zaino se non l'avessi lasciata perdere. Oggi è una normale madre di famiglia.

Magari le cose devono andare proprio così.


VP