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giovedì 12 gennaio 2017

TORNARE A LA SAPIENZA AD UNDICI ANNI DALLA LAUREA (12/01/2017)

Quando guardo le foto risalenti al 2002 fatico a riconoscere me stesso. È come se quel ventenne in cravatta in mezzo ad altri ventenni con i jeans strappati e i dreadlocks fosse la proiezione di un "io" rimasto in un'altra dimensione, come se le esperienze della giovinezza ormai acquisite fossero state un portale per un altro modo di essere giovani, studenti, lavoratori occasionali, single in cerca di ragazze. Non la vita adulta, ovvero la destinazione originaria, ma una vera e propria agonia post-adolescenziale che si protrae per un tempo non ancora definibile.

Generazione degli anni '80, generazione di Internet, generazione social, generazione che rischia di morire giovane anche qualora dovesse raggiungere la Terza Età. Quel ragazzo ero io, ma non sono più io; lo incontrassi oggi mi sorprenderebbe in negativo con le sue idee reazionarie, quella cinefilia solitaria che ancora mi accompagna ma di gran lunga più grezza, più frutto di letture che di vere esperienze in sala o in streaming. Niente viaggi in USA ed Est Europa alle spalle, una scoperta, la Scandinavia, ancora da codificare nel senso giusto.

Eppure cosa è successo, cosa è mai successo in questo decennio? Ho trovato una mia strada? No. Sono una persona più consapevole? Sì, ma non potrebbe essere altrimenti. Sono una persona soddisfatta? In parte. Cosa ho prodotto di reale? Ancora niente. Ma in mezzo c'è stata l'ADSL, Mark Zuckerberg, fidanzate americane, polacche, russe, ucraine, tedesche. Un lavoro al Parlamento Europeo. Ma oggi, che di anni ne ho 33, sembro proprio uno di quei ragazzi che si vedono nelle foto del 2002, quelli che mi circondano, quelli con cui dovevo imparare a convivere.

Non fai in tempo a prendere la Maturità in un Liceo romano in cui per 5 anni ti sei creato un'identità filo-Pariola, para-Fascista in senso umanista, con divagazioni su Pound, Céline, D'Annunzio, John Milius, Clint Eastwood, che ti ritrovi di colpo in un universo di zecche, dialetti del Sud, terroni che non chiameresti mai tali ma che poi si presentano come tali per ostentare un orgoglio infinito dietro i complessi di facciata, giornali di Lotta Comunista, tanto bisogno di quattrini che non ci sono e partite a Risiko nell'Aula occupata con simpatici ragazzi rossi che ti prendono per qualunquista, ma in fondo capiscono che sei una brava persona: il Fascio di Lettere.

Paradossalmente oggi mi vedrei molto bene in quelle aule, in mezzo a quei ragazzi col cervello zeppo di slogan e moti rivoluzionari, la nostalgia di un '68 mai vissuto e che rimane il maggior punto di riferimento di una visione diversa della società. C'è stata la crisi economica: il mondo mi ha declassato, facendomi rientrare nell'accogliente caos dell'umanità sinistroide, un Europeismo lowcost che si nutre di desideri di evasione, la certezza di non appartenere più a un paese, a una città, a un popolo. La voglia di disperdersi.

Sono per certi versi peggiorato io, da reazionario Monarchico a Radicale anarchico. Invece è migliorata La Sapienza: aule nuove, pulite, strutture, ad esempio Psicologia, che all'epoca non c'erano e se c'erano era meglio che non ci fossero: condizioni pietose. Una qualità dell'università pubblica quasi sconvolgente per uno che si è fatto (nel quadriennio 2002 - 2006) ore interminabili in fila per la consegna dei crediti oppure era costretto a stare a terra, con i glutei quadrati, in aule affollatissime col laniccio a un centimetro dalla penna su cui scrivevi. Incredibile: sembra che l'Europa sia davvero arrivata e se lo dice uno che ha fatto in seguito anche la LUISS (università privata) c'è da crederci eccome.

Infatti, memore dei miei trascorsi, mi aggiro tra le statue neoclassiche del pianoterra e i piani con le bacheche, per trovare infine il mio corso di studi (Discipline Dello Spettacolo), spiegato nel dettaglio dai fogli affissi in ordine. La praticità e il positivismo che traspare da ogni frase scritta quasi ti fa dimenticare che ormai è quasi un decennio che le lauree in Lettere sfornano soprattutto disoccupati e addetti ai call center. Osservo i ragazzi parlare tra loro, sui banchi che una volta erano miei, e quasi ho voglia di urlare: "andatevene, sfuggite da questi studi che non vi aiuteranno a trovare un posto per vivere e guadagnare!". Ma in quegli occhi non c'è traccia dell'ingenua ignoranza impressa nei volti speranzosi dei tanti che frequentavano Storia e Critica Del Cinema con me. Immagino che la gran parte di loro già abbiano in testa un'idea, un'uscita di sicurezza dalla crisi: hanno un'Internet potente (che io ho avuto solo dal 2005 e spesso mi rifugiavo dai fuorisede per scaricare musica per il CD portatile), famiglie probabilmente consapevoli dei limiti in termini di opportunità dell'Italia, un'Europa già collaudata a disposizione per trovare se stessi da qualche parte. Brexit e populismi permettendo.

Esco da Lettere e scopro costruzioni ancora nuove, uno spiazzale per le auto che prima non c'era e rimango solo, con un senso del vuoto simile a quando finisci in quei paesi organizzatissimi del Nord Europa che tanto invidi, salvo poi rimanere nel gelo degli spazi privi di persone. San Lorenzo (quartiere che mai ho frequentato come oggi a più di 30 anni) è alle porte e scappo prima che un senso di ingiustizia mi affligga per essere stato tra i primi (classe '83) a sperimentare il mondo globalizzato.

Anche noi abbiamo avuto le nostre piccole fortune, ma non è un gran conforto.


VP