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sabato 30 luglio 2016

NON CAPIRE IL FENOMENO POKÉMON GO È UN SEGNO DELLA VECCHIAIA? (30/07/2016)

Quando i Pokémon arrivarono sul mercato italiano io ero già grande e di sorbirmi passatempi per mocciosi sintonizzati su Junior TV ne avevo le palle piene: guardavo film thriller e horror, al massimo serie televisive sul paranormale, X-Files e Millennium erano già un prodotti troppo ancorati a un circuito commerciale per stimolare i miei interessi. Nel 1998 al Cinema Quirinale di Roma andai a vedere Lost Highways di David Lynch, vietato ai minori di 18 anni, superando l'ostacolo alla cassa grazie alla statura e all'andamento deciso. Altri film che all'epoca guardavo continuamente erano Pulp Fiction, Trainspotting, Crash di Cronenberg e Il Grande Lebowski, come per ogni adolescente cinefilo di quegli anni: iniziavo a tornare indietro nel tempo grazie a Ghezzi e Fuori Orario, affinavo la mia persona in barba ad una generazione di rincoglioniti che al massimo andava al Cinema per i film sulle Spice Girls o al massimo per Titanic.

Al contrario la mia parte più mocciosa si sfogava nell'universo videoludico: ero malato di videogiochi e ho vissuto tra il 1993 e il 2001 il vero passaggio tecnologico che rivoluzionò il divertimento in solitaria e in multiplayer: gli albori della grafica poligonale, le schede 3DFX, il passaggio tra il primo Wolf3D ai Quake e i paesaggi strabilianti di Unreal, la straordinaria immersione di Half-Life che ti faceva sentire lì, a Black Mesa, cercando di aggirare un mostro tentacolare che appena facevi un minimo di rumore ti martellava con dei tap tap sul cranio. Era un'epoca in cui si pensava che i videogiochi facessero venire l'epilessia (vero tormentone reazionario dal Super Nintendo in poi), in cui rimanere "solo nell'oscurità" di una casa infestata e nei panni di un inglese partorito dalla transalpina Infogrames era la massima realtà aumentata. E quando c'era voglia di tranquillità e divertimento intelligente, si andava tutti ai Caraibi, col pirata biondo più scemo della Storia e una Elaine da conquistare e proteggere dal perfido LeChuck.

C'erano i Deathmatch e i Capture the Flag, grazie a miracolose LAN o linee ISDN che ti facevano sentire l'avvento del 2000, il nuovo Millennio, davvero sulla pelle. Tutti si scandalizzavano, quando raccontavi di aver guidato come un pazzo per le strade di una città cercando di investire quanta più gente possibile, quando rubavi macchine in GTA, con una visuale dall'alto cartoonesca: il tormentone era sempre che quel ragazzo di 16 anni che eri fosse pronto per l'ultraviolenza e l'ergastolo. Oggi nessuno si sconvolge, nessuna bocca spalancata. Oggi non c'è più controcultura, perché le coscienze hanno superato lo scandalo (come desideravamo all'epoca, ma forse no, forse ci piaceva essere così diversi, così freaks, così replicanti).

Quella stessa sensazione di incredulità che ci spinge alla critica feroce di qualcosa di elementare, commerciale che non capiamo. Può essere un Pulcino Pio che ti distrugge i timpani per un'estate intera. può essere un fenomeno videoludico, evoluzione di quegli anni in cui videogiocatore lo eri davvero ma che hai preferito snobbare per la petulanza delle giapponeserie che invasero il mercato alla Tamagotchi.

E allora oggi vedi orde di ragazzi andare in giro col telefono in mano, in cerca di pupazzetti da catturare e allenare in palestra per poi (?)... e quei ragazzi hanno anche la tua età, anzi di anni ne hanno anche 40 e corrono, urlano, esultano, con una realtà aumentata che non è altro che un GPS e una fotocamera usati in modo forse intelligente, forse innovativo. Pochi giorni dal lancio del gioco (o dell'app, quello che è) e la Nintendo fa il botto nelle Borse di tutto il mondo, con titoli schizzati alle stelle. Quelle stelle che vedevo io quando nel 1988 papà si presentò con una confezione del primo NES e il primo Super Mario Bros che diventò il mio amico d'infanzia insieme al Link di The Legend Of Zelda. Poi vai su Internet e vedi che il NES sta tornando, solo che sarà grande come il palmo di una mano e allora sorridi.

Ma neanche tanto: il mini-NES ti ricorda come eri da bambino, Pokémon Go ti fa indossare i panni di tua madre che ti redarguisce (e ti passa una rassegna di insulti pedagogico/morali) quando rimani ore al telefono a raccontare al tuo migliore amico del primo memorabile incontro con uno Skaarij nel primo Unreal: allora di anni ne avevo 15.

Oggi ho superato i 30 e questi giocatori di Pokémon Go mi appaiono in tutto il loro inconsistente entusiasmo per qualcosa che non capisco: ho provato il gioco e ho realizzato che non me ne frega niente, non mi diverte neanche lontanamente.

Buona vecchiaia a me e a tutti i grandi (ex) videogiocatori della Storia!


VP