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lunedì 29 luglio 2019

Serenity - L'Isola Dell'Inganno (2019) by Steven Knight


Serenity (2019)
di Steven Knight

Matthew McConaughey (Baker Dill)
Anne Hathaway (Karen Zariakas)
Diane Lane (Constance)
Jason Clarke (Frank Zariakas)
Djimon Hounsou (Duke)
Jeremy Strong (Reid Miller)
Charlotte Butler (Lois)
Rafael Sayegh (Patrick)


È giusto non accettare le scelte probabilmente legittime di un autore? È la domanda che mi tormenta da un paio di giorni ovvero dal minuto in cui ho lasciato la sala cinematografica con dubbi che non avevo da tempi immemori. In realtà non so di preciso se abbia davvero reputato inaccettabile ciò che il britannico regista del celebrato (più del dovuto) Locke ha fatto stavolta. Il sessantenne Steven Knight si propone come un innovatore, vuole fare cose che nell'industria britannica e hollywoodiana non si sono mai fatte. Scegliere percorsi differenti, magari molto più scontati di quanto egli stesso pensi (e chissà quanto in Serenity ci sia di The Truman Show o di Lost, più o meno volontariamente), perché il cinema cambia, i mezzi cambiano e ormai il pubblico ha visto un po' di tutto. Persino io, che non mi stupisco più di niente, davanti a questa terza prova nel lungometraggio rimango basito, interdetto. Era questo l'obiettivo di Steven Knight? Be' ha raggiunto pienamente il suo scopo e allora il bicchiere dovrebbe risultare quantomeno mezzo pieno.

In realtà però il mio grande turbamento deriva da uno stato di profonda delusione. Sì, voglio rispettare le decisioni dell'autore di prendere a trequarti di film una strada new age macchiata un po' di Shining, un po' di esistenzialismo 2.0, piani narrativi che si sovrappongono per dar vita a una scatola cinese ad incastro che tutto sommato regge.

Ma per questo Steven Knight sacrifica letteralmente un impianto da film noir classico (con personaggi maledetti, grotteschi, fatali, stereotipati in maniera decisa come in un capolavoro di Jacques Tourneur degli anni '40 o un Otto Preminger dei tempi migliori) sullo sfondo di una cittadina  peschereccia di cui si sente persino la puzza. La prima ora di Serenity è eccezionale: un reduce dall'Iraq si è confinato sull'isola di Plymouth (dove le stazioni radio dicono sempre le stesse fregnacce mattutine) dove porta su una barca i turisti ricchi a provare l'ebbrezza della pesca di un certo livello, un po' Achab nei confronti di un tonno che diventa la sua ossessione, un po' gigolo con una Diane Lane pagante che pare una Marlene Dietrich dei giorni nostri. Poi c'è il ritorno di una moglie stupenda, di puro decadentismo fatale, con un piano per sbarazzarsi del violentissimo multimiliardario con cui si è messa al termine del matrimonio e allora per un istante sembra diventare tutto una sorta di Ore 10: Calma Piatta (Dead Calm, 1989). E invece no, il mistero è un altro.

E noi rimaniamo un po' così a bocca aperta: accettiamo infine le scelte fatte, anche se sono un cilicio con cui ci flagelliamo per il desiderio di nuovi capolavori che puntualmente la Hollywood degli ultimi tempi manca. Che gran peccato!, si dice a posteriori, e la delusione non tende a scemare.

Così un ultimo dubbio ci assale, come una carogna sulle spalle di cui è difficile liberarsi: e se piuttosto che un innovatore in realtà Steven Knight non fosse altro che un formidabile autore di cinema classico? Un George Cukor, un Charles Laughton, perché no un odierno Hitchcock?

Confidiamo nel dubbio, che si insinui anche dentro di lui, in attesa della prossima prova e, come è facile pensare, della prossima innovazione di cui sentiamo assai poco la necessità.


VP