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giovedì 2 febbraio 2017

RIVEDERE SUSPIRIA IN SALA (02/02/2017)

Sembra di essere a OZ ma senza verde e le strade dorate che portano a Smeralda: invece c'è il rosso, il rosso e il blu, colori caldi e freddi che si incastrano in un infernale art déco che metterebbe alla prova gli occhi meno impressionabili. E infatti gli occhi si sbarrano, quelli chiari di una ragazza, una ballerina, che sente che per lei sta arrivando la fine: aggredita alla finestra, presa, penetrata con i coltelli e impiccata per lo spettacolo di tutta la scalinata a chiocciola che porta ai teatri di posa. Prima di morire riesce quasi a scappare farfugliando cose apparentemente senza senso: un'iride da girare. E vuoi che in un posto del genere, dove il fiabesco viene investito da un color lava impresso nei muri (e che ricorda Sussurri e Grida se non altro come interni), non ci sia un'iride che nasconde un segreto?

Lo deve scoprire la nuova arrivata americana, che vorrebbe alzare le scarpette in danze classiche sotto lo sguardo severo di una snob e forse affettuosa Madame Blanc e la severità marziale, sadica, di Miss Tanner: indimenticabile in quanto interpretata da Alida Valli, mito di bellezza italiana (di Pola, Istria) negli anni '40, trasformato quattro decenni più tardi in volto mefistofelico. Cosa può esserci di più orrorifico di una Diva, una bellezza, pesantemente deturpata dal tempo, tramutata in Diavolo da Angelo qual era (la bella Sulamita del Feroce Saladino, 1937)? Si può pensare a Laura Antonelli o a come fosse diventata una splendida creatura come Anita Ekberg quattro decenni dopo il bagno a Fontana Di Trevi (in Bambola di Bigas Luna).

Ma a fare da contraltare c'è la grazia soave delle ragazze, che si trovano in balia di una magione infestata di vermi e con la presenza di una Strega che dorme nelle stanze attigue: Strega visibile oltre i riflessi di luci emanate dalle tendine quando ci si ritrova tutte insieme, perché l'escalation di orrore non ha mai fine. E tra un maggiordomo con la dentiera nuova che parla solo rumeno, una vecchia babooshka russa con bimbo biondo al seguito, capace di artifizi magici e maligni, e un ballerino con la faccia timida, ma forse anche un po' furbetta, di Miguel Bosé e che ad un certo punto non si sa che fine faccia, maledette sceneggiature dei film di Dario Argento, lo svelamento dell'arcano non può che portare alla distruzione di tutto. Il fuoco brucia, la pioggia lava, le palline della decorazione di un pavone imbalsamato fanno il rumore che porta allo scontro finale.

Detto così niente ha senso, perché nulla dovrebbe averlo. La maestria dell'Argento a cavallo tra gli anni '70 e '80 era nel clima di angoscia costruito dai movimenti di macchina (carrelli obliqui per i corridoi e zoom improvvisi) e dall'uso massiccio di feticci: coltelli, guanti, tessuti, occhi, sangue che esce a mo' di fontanella per impregnare pavimenti e fondersi col color carne dei corpi umani in putrefazione. A smorzare la paura ci pensa il rock di Claudio Simonetti, che apre all'inferno visibile e ostentato e chiude ad ogni impulso gotico.

Fosse veramente tutto così il cinema argentiano, barocco, estremo, potrebbe anche rivivere ai giorni nostri e non rimanere alla dimensione di quei formati cinematografici, quei colori saturi della pellicola fatta in un certo modo e anch'essa di per sé feticcio. Perché Dario Argento dopo la Sindrome Di Stendhal (1996) non ha azzeccato un film che sia uno, presentando porcherie come La Terza Madre, che dovrebbe essere il secondo seguito di Suspiria dopo Inferno (1980). Perché il pubblico è cambiato e lo stile dei suoi anni migliori è completamente obsoleto per le necessità del pubblico orrorifico odierno.

Ma questo sarebbe potuto cambiare qualora Argento avesse fatto scelte diverse, magari spingendosi ancor di più nei territori dell'avanguardia cinematografica evitando che il suo modo di fare Cinema (che ha fatto scuola per un'intera generazione italiana di filmakers "de paura" degli anni '80, da Claudio Fragasso a Lamberto Bava) diventasse negli anni una specie di marchio di fabbrica con i suoi archetipi scontati.


Ad ogni modo i film di Argento, anche i migliori, hanno tutti un grandissimo difetto: la recitazione da cani, con sovente uso di un doppiaggio in post produzione. Un obbrobrio che risalta soprattutto da quando il "maestro" ha deciso (da Trauma, 1993) che le candide protagoniste delle opere maggiori (Jessica Harper in questo caso, la sconvolgente Jennifer Connelly per Phenomena) sarebbero state rimpiazzate dalla cara figliola Asia. E la scrittura, che è altra parte debolissima nella cinematografia argentiana, non aiuta: dialoghi imbarazzanti, che spesso rovinano la maestria della messa in scena. Una regia che dà il meglio di sé nell'horror molto più che nel thriller (L'Uccello Dalle Piume Di Cristallo) e che regge il gioco di colori e atmosfere finché non sente l'inutile necessità di sciogliere gli intrecci, con risoluzioni sempre forzatissime forse ad eccezione di Profondo Rosso.

In questo caso il mistero di Suspiria inizia a svelarsi da una conversazione tra la protagonista e Udo Kier nella parte dello psicologo della compagna di stanza appena scomparsa: una scena stupida nelle dinamiche, assolutamente non credibile, grigia come la mortale noia. Invece i film di Argento si reggerebbero benissimo sul nonsense (ad esempio tutte le scene che vedono protagonista il pianista cieco col suo "fido" cane) e con una regia totale che non si preoccupasse delle necessità dello spettatore di capire.

Lo spettatore degli anni '70 era bramoso di spiegazioni, Argento gliele dava e perciò veniva insignito del titolo di Maestro dell'Orrore. Un titolo destinato a finire dagli anni '90 in poi.


VP