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lunedì 26 novembre 2018

Cannibal Holocaust (1980) by Ruggero Deodato


Cannibal Holocaust (1980)
di Ruggero Deodato

Robert Kerman (Professor Harold Monroe)
Francesca Ciardi (Faye Daniels)
Perry Pirkanen (Jack Anders)
Luca Barbareschi (Mark Tomaso)
Salvatore Basile (Chaco Losojos)
Carl Gabriel Yorke (Alan Yates)
Paolo Paoloni (1st Executive)
Lionello Pio Di Savoia (2nd Executive)


Esistono film entrati nella leggenda non tanto per la loro qualità intrinseca, quanto per una serie di intuizioni che hanno fatto scuola. Film che ci parlano di una stagione incredibile del Cinema Italiano, quando con una scarsità di mezzi e tanto spirito d'avventura i registi nostrani sfidavano i limiti produttivi delocalizzando nei paesi dove avrebbero trovato esotismo da vendere a buon mercato a chi nello stivale, o addirittura in Europa o in Nord America, rimaneva: a cavallo tra gli anni '70 e '80, memori delle imprese non sempre eticamente corrette fatte da Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi (Mondo Cane, Africa Addio, tutti campioni d'incassi) nel decennio ancora precedente, un gruppo di autori prendono il volo verso il Sud-Est Asiatico o il Sudamerica (come in questo caso) e si appropriano dei generi di maggior successo popolare (horror, western, erotico) portandoli ai possibili estremi, spingendo forte il pedale del sesso e della violenza, scatenando pruriti, curiosità e necessità di sfogo di un pubblico alle prese con i cosiddetti Anni Di Piombo.

Perché Cannibal Holocaust è divenuto negli anni così famoso, un successo mondiale del cinema marginale italiano, rispetto ai prodotti similari (anche dello stesso regista, visto che la produzione del film nacque sulla scia di un altro successo dei Mondo Movie splatter targato 1977: Ultimo Mondo Cannibale), tanto da essere omaggiato non solo da Quentin Tarantino ma anche ad esempio da Eli Roth, che nel 2013 ne fece una pessima ma commercialmente vincente versione a stelle e strisce (The Green Inferno), riportando in auge l'altrimenti accantonato Ruggero Deodato?

Probabilmente perché la storia dell'antropologo newyorkese impersonato da Robert Kerman, a capo di una spedizione di recupero di quattro filmaker (tre giovani uomini e una donna), addentratisi nella Foresta Amazzonica non con buonissime intenzioni, che insieme ai resti dei corpi troverà terribili found footage (che scatenano al ritorno la rapacità dei network americani), anticipa una delle ossessioni che soprattutto oggi stimolano l'immaginario cinematografico e non solo: la ricerca spasmodica di autenticità, che mai come ora, nel mondo globalizzato e digitale, si sviluppa inconsciamente tra spirito progressista e tendenza a sublimare le violentissime forme arcaiche.

E pazienza se in realtà Cannibal Holocaust, visto con gli occhi del 1980, non fosse altro che un consueto esemplare tra le tante pellicole di quel periodo che ostentavano corpi martoriati e un gusto al sadismo gratuito (ancora oggi è raccapricciante l'uccisione di una tartaruga catturata in un corso d'acqua) che spostava ancor più in là l'asticella del visibile in barba alla censura, con la quale si danzava sul filo della continua provocazione.
Il film di Deodato dice tanto del nostro rapporto con lo schermo da 40 anni a questa parte, con l'etica dello sguardo e i Terzi Mondi; si carica di significati e tendenze di cui all'epoca neanche gli stessi autori e produttori probabilmente erano consapevoli.

Straordinarie le musiche di Ritz Ortolani.


VP