Dedicato al mio compagno di viaggio che ha dovuto aspettare più di un mese per assaporare finalmente questo articolo... e a cui devo ancora dei soldi. Tranquillo Max, i 90 euro sono qui, sopra la scrivania, che ti aspettano. E non pensare di mettermi gli interessi... ingordo!
Il terremoto che ha flagellato il centro Italia si presenta con un sinistro rumore che viene dal balcone: dei ladri, un'inferriata rotta, un oggetto che cade? No, il pavimento trema, trema più volte. Balla tutto: i muri, gli scaffali, il microonde, le parti della valigia ancora semivuota. Vorrei lasciare tutto a metà e andarmene a letto. Invece corro fuori e rimango in strada. Il buio, Internet che non prende, le pagine online inalterate dei giornali ancora sotto le coperte (tranne Repubblica, che, bisogna dirlo, è stata l'unica a fare aggiornamento in tempo reale). Iniziano le chiamate in Sabina e in Umbria, a casa di tutti i componenti di due famiglie per l'appunto umbro-sabine. La gente si accomoda sui sedili delle macchine, lontani dalle costruzioni. Io non so che fare: tra poco si va in Ungheria e ci arriverò stanchissimo. Man mano che la notte svanisce mi faccio forza e risalgo a casa: sposto il letto, lontano dall'armadio, e chiudo gli occhi: non ci riesco, non ci riesco! Allora finisco la valigia, impacchetto camicie e giacca. Dormo due ore, poi prendo l'auto per Tiburtina. Si parte, si parte! Si parte con le viscere (della terra, le mie) in subbuglio, la nausea dei traballamenti veri e presunti, un vuoto che l'entusiasmo del viaggio non riesce più a colmare.
Non ero mai stato a Budapest e non avevo mai visto il Danubio. Anzi forse quest'ultimo l'avevo visto, ma ero troppo piccolo per ricordare, in Jugoslavia con mamma e papà a fine anni '80. Era una mancanza importante, soprattutto considerando che nell'ultimo decennio di Est Europa me ne sono fatto tanto, finendo pure in posti dimenticati da Dio e dai confini territoriali delle cartine geografiche, colate di cemento con bambini spensierati, famiglie ortodosse tradizionali e splendide ragazze in minigonna col trucco pesante. Ma pensare all'Est riguardo l'Ungheria, così come per la ex Cecoslovacchia, è un errore novecentesco troppo evidente. Prima di Marx, di Stalin e delle dittature che si sono succedute finché la stella rossa svettava sulla cupola del Parlamento, in Ungheria c'era l'Impero: un Impero ungarico a cui bisogna anticipare l'aggettivo "austro". Sì, si parlava tedesco e ungherese, che non è una lingua slava, bensì ugrofinnica e le influenze russofone non hanno attecchito tanto da spodestare il Cattolicesimo con l'Ateismo di Stato o l'Ortodossia. Qui è Mitteleuropa, uno dei centri della Storia del Vecchio Continente, finito sotto le grinfie dei rossi con grandi spargimenti di sangue e vittime a iosa. Un po' come quando si parla di Praga e della Boemia: ma quale Est, ma quale Novecento!
Infatti oggi, a quasi 30 anni dalla fine del Comunismo, al potere c'è la Destra che ha le sfumature nazionaliste impresse sul volto glaciale di Viktor Orbán, il Presidente più autoritario del blocco NATO, colui che vorrebbe costruire i muri anti-migranti sulla linea di demarcazione con la Macedonia. È il Putin dell'Unione Europea, teso a difendere razze da buon padre di famiglia, provando ad assecondare l'orgoglio nazionalista che si legge in ogni volto autoctono che incontro. Altro che Europa multirazziale, altro che accoglienza.
Quando lavoravo al Parlamento Europeo e scoppiò la crisi dei migranti mi colpì tantissimo la foto di un bambino siriano con in mano il cartello: "we don't want to stay in Hungary". Perché, perché caro bimbo profugo non vuoi restare in Ungheria? Eppure Budapest è così bella, con questa unione di due città diverse tramite i ponti sul fiume. A Pest ci sono la vita, la frivolezza, il dramma, il peccato, la valle di lacrime. Buda è come l'utopia: si sale sulle terrazze del castello, a mirare dall'alto la valle di lacrime Pest, che si mostra bella come non mai. E non importa della posizione privilegiata data dall'altura, raggiunta a piedi o grazie alla funicolare che ti preserva i tendini: hai voglia di muoverti, di guardare, di scendere dagli scorci meravigliosi e dai temporanei piedistalli per ricongiungerti alla massa che vive, ama e soffre. Budapest dovrebbe scriversi Buda-Pest, perché quel trattino, che è un ponte (magari quello delle catene), un'inclusione, un legame di follia amorosa o imperiale, fa tutta la differenza del mondo. Se hai troppa fatica potresti andartene alle Terme, dove giovani e vecchi si rifocillano con la sauna e la crioterapia: magari alle pubbliche Szecheniy, se non vuoi spendere qualche fiorino in più per le private Géllert. E invece caro bimbo profugo te ne vorresti andare con la tua famiglia in qualche opaca città industriale della parte ricca della Germania in cerca di modi per sopravvivere e ricostruire un futuro insieme: quando i diritti umani superano la bellezza.
Budapest è bella e romantica come Praga, che però forse è più compatta e omogenea e si lascia preferire leggermente, ma va a gusti. Nelle città belle e romantiche noi ci vorremmo stare con le ragazze. Una passeggiata all'Isola Margherita e poi costeggiare il Danubio di notte verso la Váci Utca, magari fermandosi di tanto in tanto sulle confortevoli e pulitissime panchine per viziare gli occhi, con la tua lei sarebbe il coronamento di un amore, una situazione talmente preziosa da custodire nell'angolo più remoto e protetto dello spirito che ti farebbe pensare che la vita in fondo non è che sia così malvagia.
Invece a Budapest mi ci ritrovo con un amico, uno che da queste parti c'è già stato altre 4 volte, tra scuola, cugini e amici. Se il 2015 in Bulgaria fu il tempo dell'amore, senza dubbio il 2016 in Ungheria lo ricorderò come l'estate dell'amicizia. Il motivo è presto detto: io e Max non abbiamo quasi niente in comune. Ne parliamo una delle notte tormentate in cui ci ritroviamo nella mia stanza dell'appartamento affittato a due passi da Kálvin Tér, in cui tra una ottima birra e un dramma esistenziale finiamo per parlare dei massimi sistemi. Io sono un idealista amante delle arti e delle particolarità, del pensiero originale, sempre alla ricerca di un valore estetico ed artistico che dia prestigio ad una vita altrimenti piuttosto normale. Max è un lavoratore dal carattere all'apparenza forte, molto concreto e realista, straordinariamente influenzato dal marketing, dalla pubblicità e dai pensieri che egli ingloba mano a mano che le cose accadono. La sua forza è nel suo essere medio, nel suo mettere in discussione gli atteggiamenti di chiunque, come me, cerca strade alternative e di scavare in profondità. Lui si ferma in superficie e in superficie si muove bene. Le nostre discussioni cinematografiche sono bagni di sangue: è come mettere insieme Enrico Vanzina e Béla Tarr, per lui il cinema, così come ogni forma di spettacolo, è un contenitore di abilità tecniche e rincoglionimenti da botti ed effetti speciali come lo è per un bambino americano con un secchiello di popcorn in grembo. È la persona più consuetudinaria che abbia mai conosciuto: a Occidente va a Londra, a Oriente a Budapest. Più e più volte. Non come io che a Londra c'ho vissuto e poi sono andato in Francia, Stati Uniti, Messico e ad Est mi sono fatto da solo anche la Moldavia e l'Ucraina, più una decina di altri paesi internazionalmente riconosciuti e non. La sua passione è il basket, sport di cui non ho mai capito il fascino, coi suoi punteggi enormi, rimanendo agli anni '90 degli scontri tra Lakers e Chicago Bulls con in campo Magic Johnson e Michael Jordan. Lui l'NBA se lo guarda da casa e quest'anno andrà con altri "amici del campetto" a vederlo live direttamente in America: un viaggio assurdo fino a Cleveland, che detto tra noi deve essere un posto tanto tremendo quanto anonimo (che sicuramente non giustifica ore di aereo a due cifre), ma che lui sarebbe capace di descrivermi entusiasticamente anche solo per aver visto (a prezzi esorbitanti) LeBron fare canestro con tutte le lucette, le musichette e il commerciale che gli americani spingono per poi riscuotere in soldi e prestigio.
Ma come fanno due così ad essere amici? Un concreto esponente della classe media italiana (e che pure a Budapest preferisce abbordare connazionali ai tour forzatamente organizzati per nazionalità dallo splendido e dorato Parlamento Ungherese, rispetto a sforzarsi di parlare inglese magari con due polacche che si fanno l'idromassaggio al Géllert) e una specie di intellettuale fallito e depresso, talmente esterofilo che tra un'italiana stratosferica e una polacca carina sceglie la seconda tutta la vita. Uno che passa l'esistenza a scrivere recensioni di film e report di viaggi. Anche a leggerli. E fortuna che di report di italiani passati a Budapest (e in cerca di compagnie femminili) io ne ho letti a dovere. Potrebbe averci salvato la vita.
La prima notte che io ero morto per via del terremoto a Roma, Max ed io veniamo fermati da due ragazze, probabilmente attratte dai nostri zaini: l'una è anonima, l'altra una stangona leopardata in cerca di attenzioni. Ci chiedono informazioni su un bar, Max offre loro il cellulare col GPS, dopodiché ci chiedono loro stesse se vogliamo accompagnarle, magari bere qualcosa insieme. Dicono di essere turiste croate e quando facciamo due chiacchiere sulla Croazia noto che si fermano a Spalato, Dubrovnik e qualche altra località molto conosciuta. 'Be' potrebbero studiarsela meglio la cartina della Croazia e magari mettere nel calderone qualche località meno nota, giusto per risultare un attimino più credibili'. Sono quasi sicuro si trattassero di ragazze ungheresi in cerca di polli da portare in bar dove ti cambiano i menù e all'improvviso un drink che prima costava 10 passava a 100. Serata che magari finisce a minacce, polli costretti a prelevare ai bancomat per non avere le ossa rotte; c'è anche una simpatica lista del Dipartimento di Stato Americano coi nomi dei pub e dei bar incriminati: pare che a Budapest sia una vera consuetudine. E si continua a pensar male quando queste due ragazze diventano altre due ragazze qualche giorno più in là, che ci fermano all'inizio di Váci Utca: sono meno belle, ma sempre croate wannabe. Max si chiede come mai ci siano tante croate qui, io invece mi chiedo perché tutte si fingano croate e provo a fare 2 più 2: gli ungheresi sono nazionalisti e cattolici, non amano i serbi e gli ortodossi in generale, i croati sono cattolici e nazionalisti e odiano i serbi e i russofoni. Allora tutto torna.
Io sono stanco e dico sempre no, Max talvolta mi dà del ricchione e sento la voce di mio padre fare lo stesso. Eh già: chissà come caspita si muoveva qui papà nel 1977, quando venne col pullman dall'Italia passando per la frontiera jugoslava. Ne conservo gelosamente il passaporto con tutti i timbri e i visti e ogni volta che ci siamo confrontati lui mi raccontava di uno dei paesi più avanzati e meno rompiscatole del Patto di Varsavia. A 19 anni nella Budapest comunista: vorrei essere una mosca degli anni '70 per vedere cosa davvero succedesse a quel tempo. Perché mio padre sarà stato anche un bellissimo ragazzo, ma non parla né inglese né altra lingua straniera, a momenti neanche l'italiano. Però si fece prestare una Mercedes da un altro italiano cosicché le ragazze si fermavano davanti alla macchina per farsi una foto: lui prendeva la palla al balzo e in men che non si dica scattava la cenetta a lume di candela.
Questo oggi non si può più fare, direi da almeno 20 anni. Budapest, come Praga, è diventata subito una meta di turismo sessuale (nonché la capitale della pornografia, anche di produzione italiana, Rocco Siffredi è proprio qui di istanza) e gli autoctoni si sono adoperati per fregare il turista in cerca di malizia. Me ne parlò qualche anno fa in Ucraina un omone italiano sempre in cerca di donnine da incontrare a Est: a Budapest la situazione non è per niente tranquilla in quel senso. E io lo avverto eccome, non mi sento per niente a mio agio, né quando giro con Max, né quando sono solo di notte e vado in discoteca. Sono sicuro che molto difficilmente rimorchierò e qualora accadesse non sarà romantico e pacifico come a Praga o altre città che ho amato.
La vita notturna di Budapest potrei descriverla con tre flash molto rapidi. Passando in rassegna i bellissimi "ruin pub" a più piani come l'Instant e il Morrison's 2, dove gli sguardi giovani si mischiano all'odore di ottima birra a basso prezzo, si nota la tendenza locale a ricalcare gli stili americani. Addirittura nella via dei locali (Nagymezo Utca) c'è un posto piccolo ed elegante dove i molti afro con mocassini sbrilluccicanti ai piedi se la comandano di gran lunga meritandosi gli abbracci di ragazze slanciate in minigonna. Non è in discoteca, tra pezzi di Snoop Dogg e roba locale anni '80 cantata a squarciagola anche dai più giovani in memoria dei tempi andati (una roba tipo i Ricchi e Poveri), che si concentrano i flash della Budapest by night, ma negli spazi bui della strada, dove gli incontri si fanno folli e casuali.
Capita di incrociare gruppi di neo-ventenni americani, australiani, canadesi o inglesi che urlano i loro entusiasmi prodotti dall'alcol appena ingerito, che loro ti attornino in una sorta di girotondo con te che non sai cosa fare, cosa pensare o cosa sperare: forse che da un momento all'altro arrivi un cristone ultranazionalista magiaro a prendere a sberle questa beata gioventù anglosassone.
Capita di essere a Váci Utca seduto su una panchina a riposare che è quasi giorno e ci sia un branco di tre ragazze scosciate che tagliano la strada. Parlano tra di loro inglese, sono quasi certo siano britanniche. Le guardo passarmi davanti e all'improvviso una di loro mi scruta, fa un cenno all'amica più alta, che una volta che mi sono ormai di spalle alza la minigonna a mostrarmi le chiappe completamente nude. Ed io lì, come un imbecille a pensare come uno più intraprendente e meno depresso potrebbe reagire: raggiungerle? Proporre qualcosa a quattro?
Intraprendenza che non manca evidentemente alle ragazze del posto. Infatti capita anche di camminare tranquillamente nel piazzale della stazione e notare vicino a te una ragazza bionda che se ne sta lì a cazzeggiare con gli amici. All'improvviso questa si stacca dalla combriccola e mi rincorre dato che sono passato da un pezzo. Io la ignoro e le faccio il segno di no con la mano: lei mi supera piazzandomisi davanti, si slega i capelli, se li massaggia e si mette in posa. In poche parole: sesso venduto come un pusher che vende cocaina a East London. Mi informo se qualche italiano abbia mai accettato le proposte e pare che farsi spompinare nell'androne di un palazzo a prezzi ragionevoli sia anch'essa una pratica diffusa.
Ma se gli italiani, i britannici o gli americani non vanno oltre il sesso orale o il sesso vero e proprio (magari in uno dei tanti centri massaggi che si incontrano dappertutto), gli ungheresi non si fanno proprio problemi ad andare a segno davvero. Ce lo spiega il nostro amico Matteo, sposato con donna ungherese e con figlio appena nato, che incontriamo prima di venire abbordati dalle finte croate. Lui, oltre a consigliarci la pregevole anatra in salsa agrodolce da mangiare insieme al gulasch, ci illustra con dovizia la mentalità del posto in tema di sesso e visione della vita: l'uomo ungherese ingravida una donna, poi se gli va ne ingravida un'altra e poi magari se ne frega dei figli già fatti e ne fa altri con un'altra ancora. Storie che avevo già sentito in Polonia e altri posti dove la natalità è ancora un valore assoluto: l'individualismo in questa parte di mondo non ha ancora intaccato la propensione della gente a pensare come un popolo, una razza, un orgoglio da trasmettere alle generazioni future.
Strano che nella piazzetta, vicino al mercato, tanti barboni che non hanno vinto la sfida del libero mercato dormano proprio lì, dimenticati da Dio, nientemeno che davanti all'altare piena di candele e tributi a Michael Jackson: una scena che non avrei mai pensato di vedere in un paese e in un contesto del genere. L'impressione è che una parte di questa nazione abbia vissuto il processo di americanizzazione in un modo grottesco quasi tutto suo. Si guarda verso Ovest ma con delle consuetudini tipiche dell'Est.
Provo a condividere le impressioni con Max, preoccupato dal mio volto spento e dalla mia mancanza di spirito e speranza. Cerca di sollevarmi con una patetica foto in camera mia con io, 30 kg sovrappeso, pronto ad uscire, col dito alzato a mo' di Tony Manero: "andiamo a rimorchiare" scrive su Facebook. Quella foto, con alle spalle un poster di Metropolis di Fritz Lang, appeso dalla proprietaria dell'appartamento malata di Cinema d'Arte come il sottoscritto, potrebbe rappresentare la fine del mio girovagare a Est. Un girovagare che iniziò quasi una decina di anni or sono a Mosca, con io che ballavo sotto la neve e l'umore ancora sorretto dai vent'anni. Tanta voglia di scoprire questa parte di mondo. Tanta voglia di scoprire le donne.
Oggi sono un cadavere ambulante di anni 33 che vive come un diciannovenne e si trascina da una parte all'altra della città cercando di scorgere un qualcosa abbia quantomeno la forma di un futuro. Sono stanco, stanco e rabbuiato. È come costeggiare il Danubio fitto di foschia e cercare di guardare al di là.
Manca il ponte, il trattino che fa la differenza. La mia Buda è lì ma non si vede. Manco io.
VP