Parlar male del primo maggio e del concerto omonimo a piazza San Giovanni è esercizio molto diffuso di questi tempi e quando non si tratta di parlar male si tratta di ironizzare, deridere, liberare tutto il sarcasmo stipato nella giugulare verso una tipologia media d'umanità progressista (una volta comunista) che ad ogni ricorrenza si riversa in piazza anche quando di lavoro in teoria non ce n'è neanche l'ombra. Ironizzare sulla CGIL e gli altri sindacati, sui banchetti con le maglie del Che e i pugni alzati, i Bella Ciao cantati e ballati e la retorica delle morti sul lavoro o dei giovani morti per mancanza di esso. Il mio intento non è quello, né tantomeno attaccare la solita musica un po' pop, un po' rock, un po' etnica, un po' sagra dell'Emilia mischiata con strimpelli balcanici e lisci di paese: per questo ci sono già Elio e le Storie Tese, che a piazza San Giovanni qualche anno fa ci andavano eccome (anche sul palco a presentare) e che oggi non disdegnano i talent show e si danno da fare su YouTube anche sputtanando il concertone annuale.
Mi metto in direzione spinto da una strana malinconia che mi riporta indietro nel tempo proprio a quando iniziavo l'Università e mi pervadeva una voglia inesauribile di esperienze nuove, incontri con ragazze, qualsiasi cosa potesse rifugiarmi dal pericolo del già visto e del già vissuto. Nel 2003 arrivai con amici a piazza San Giovanni la mattina presto per poi tornarmene a casa, stremato e con la vescica infiammata dalle ore d'astinenza urinaria al netto dei litri di birra buttata giù, la sera tardi. Oggi quella giornata sarebbe impossibile: un po' perché non ho più vent'anni, un po' perché l'entusiasmo dello stare in mezzo a una folla sovrumana è del tutto saziato dalla coscienza. Coscienza che mi ricorda che, in fin dei conti, tutto si riduce nello scimmiottare Woodstock '69, con la differenza fondamentale che cinquant'anni fa in America ti trovavi davanti Janis Joplin e gli Who, oggi a Roma c'hai Nada (che manco canta Amore Disperato ma una delle sue altre lagne alternative) e i Modena City Ramblers. A dire il vero, però, sarebbe più corretto affermare che, per quanto mi riguarda, la più grande discriminante sia la mancanza di vere hippie con cui rotolarti nudo nel fango: oggi al massimo ti becchi il tifoso del Crotone che agita la sciarpa per la storica promozione in Serie A, ma questo è un altro discorso.
Ciò che colpisce davvero è come tutto sia diventato una bruttissima copia di ciò che fino a qualche tempo fa era il primo maggio: a paragone la piazza è decimata, vittima soprattutto dall'alternativa dei centri sociali che ormai hanno abbondantemente superato il concerto in autorevolezza in quanto realtà clandestine, un DNA che fa gola al target post-Comunista romano tendente all'anarchia. I bambini sono tantissimi, anche gli stranieri. Ogni tanto spunta qualche ragazza col parka e vecchio esponente del primo maggio che fu, mentre Luca Barbarossa (quest'anno presentatore) rammenta, se ce ne fosse ancora davvero il bisogno, della gravità della crisi economica e della conseguente perdita dei milioni di posti di lavoro con drammatiche vette di disoccupazione soprattutto al Sud Italia. Mi faccio strada tra la gente e i volti che incrocio, quelli non immersi nelle impostazioni delle fotocamere degli iPhone (e penso a quando nel 2003 dovevi star attento a non farti inculare lo scrausissimo Siemens che al massimo mandava gli MMS), parlano di una nostalgia del passato e di un presente difficile comunque da afferrare in barba alle tecnologie a disposizione.
Il primo maggio 2016 a San Giovanni ha l'atmosfera di una falsa fotografia ingiallita. Ci sono le bandiere rosse, i numerosi quattro mori cagliaritani, gli slogan contro il Capitalismo che ruba lavoro e dignità, i vecchi Comunisti ai gabbiotti che t'offrono cartoline, con su scritte le proposte del nuovo PCI, con la gentilezza di chi ti vuol dire "non aver paura, stiamo tutti qui anche per te". E poi i libri su Togliatti, Gramsci, Marx e Berlinguer, le critiche a Matteo Renzi e ad un Partito Democratico troppo colluso con poteri finanziari e privati per rappresentare una Sinistra.
Tanta voglia di Novecento. Non è una cosa nuova: ogni volta che mi confronto con ragazzi di Sinistra sulla via intellettuale (ma anche con neo Fascisti) si respira grande nostalgia verso il secolo delle lotte di classe, del '68, di un'alternativa anti-borghese, di una dimensione politica che partiva dalle piazze e infondeva un senso d'appartenenza che dava a sua volta vita alla speranza di un cambiamento sociale.
Gli intellettuali di Sinistra, così come la gente normale di Sinistra, pensa, parla, sogna come se il 2016 fosse un anno del Novecento. Si citano Pasolini, Carmelo Bene e Benedetto Croce. Continuamente! E pazienza se oggi la demografia è cambiata, se la tecnologia è cambiata, se l'editoria è cambiata: la fine di una televisione ingessata e di un Cinema e un Teatro censurati, col balletto continuo tra Democristiani e Comunisti, per molti è un fattore innocuo. Ancora ha senso parlare di lotta di classe, di classe operaia anche se oggi essere un operaio è quasi una fortuna (e una fonte di guadagno certa a fronte di una disoccupazione dilagante)? 'È evidente che i miei interessi non saranno mai quelli di un Marchionne: allora io devo lottare, lottare per i miei diritti. Diritti che posso raggiungere solo con la lotta di classe' diceva tempo fa un mio caro amico Comunista: per lui l'ipotesi grillina di andare al di là di una Destra e una Sinistra, con una nuova forza politica trasversale, è semplicemente delittuosa.
Lo stesso spirito che respiro ad ogni angolo di piazza che raggiungo col mio vestiario anni '80, mai così conforme all'edonismo individuale di tante persone (un finto Saviano, un Terminegro, un'emula di Whoopi Goldberg e così via) che 10 anni fa rinunciavano alla particolarità del proprio look (o se non vi rinunciavano quantomeno moderavano il proprio "io") per uniformarsi ad una massa che almeno un giorno l'anno riportava alla mente suggestioni che andavano dalla Rivoluzione d'Ottobre a Woodstock '69.
I tempi finiscono e molti neanche se ne accorgono.
VP