Ma come è possibile? Come è possibile che la gente qui sia così diversa? Perché non riesco a trovare un'unità, unità di misura o d'intenti per capire davvero questo posto, questo paese, questa piccola nazione appuntita come uno spigolo d'Europa. Eppure al di là degli ambienti istituzionali, di un'Europa che dovrebbe e vorrebbe essere unita, di gente ne ho conosciuta.
Non c'è niente, niente che mi faccia comprendere come sia possibile che un uomo di Liegi e uno di Anversa siano conterranei. Mi risulta che questo sia il paese dell'accoglienza, del lavoro e delle opportunità europee. Mi risulta che la società invogli a inglobarti con le tue differenze e campare insieme a persone che originariamente vengono dall'India, Indonesia, dall'Africa magrebina e sub-sahariana. Nainggolan, che è un idolo locale, mi risulta essere un nome asiatico, ma veste la casacca belga in questi Europei di Calcio. Però l'accoglienza è solo una facciata e me ne accorgo ogni fine settimana che le ferrovie belghe abbassano drasticamente i prezzi per invogliare gli spostamenti, scoprire le culture, le gioie e gli ambienti che questo piccolo pezzo di terraferma può offrire.
Esiste la Vallonia ed esistono le Fiandre. Si parla francese e si parla fiammingo, che è una lingua strana assai, con quelle straat, quelle stesse vocali spesso consecutive che sembrano mettere le distanze tra te e la cultura locale. Non stupisce dunque che a Liegi o a Brugge la gente sembri più aperta verso lo straniero in cerca di fascino locale, tra campanili medievali e cioccolaterie, pause birra in qualche locanda e fotografie per testimoniare la propria presenza. In Bruges era un film mediocre del 2008 con Colin Farrell dove la bellezza della città era ostentata in ogni inquadratura. D'altronde il protagonista era stato mandato lì proprio per goderne le bellezze prima di una preventivata morte.
La pubblicità che precede la bella città al ridosso del mare che si affaccia sulla Gran Bretagna (con fredde località balneari fatte di ville come Ostenda e De Haan in cui si rifugiano i ricchi nel weekend) è così eclatante che poi ci rimani un po' male: sì, è vero, i canali e i ponticelli sono sempre belli e la piazza principale ha un gran fascino. Ma è piccola, diamine quanto è piccola! Così finisci per bere più birra e camminare meno ché tanto tutto ruota intorno a una piazza e un paio di strade. Sono di Roma e lavoro a Bruxelles (che è piccola): che ci volete fare?
Gand è più grande e più bella. L'atmosfera ha un non so che di maestoso e gratificante. Eppure si rimane sempre lì, a mirare questi mattoni medievali incagliati come nocciole nei torroni di pura cioccolata belga. Così come i muri istituzionali di Liegi sono bianchi come un pasticcino di Godiva al latte e la passeggiata è piacevole anche se giustificata solo dalle esigenze di un'amica (che ha portato il cellulare in assistenza di persona nella sede della multinazionale).
Le Fiandre sono diverse e te ne accorgi appena passi la linea immaginaria di demarcazione che non penseresti mai possa esistere, ma che invece è così netta, fissa negli occhi della gente che reclama più attenzioni e un riconoscimento della propria diversità. È tutto molto simile al Veneto e al Trentino, non per il paesaggio (che non è montuoso), ma per quel misto di insofferenza e rivendicazione di un folklore proprio che è impossibile da non notare. La gente non parla francese o finge di non parlarlo. Odia l'Europa, odia l'unione, odia il Belgio ma poi forse ne tifa la Nazionale di Calcio.
Anversa ha una tradizione di ricchezza assoluta dovuta al commercio di diamanti e ha una comunità ebraica enorme. Ha anche un quartiere a luci rosse come Bruxelles, che però non visito per raccomandazione. Il fiume di gente che dalla bella stazione si dirige alla piazza centrale (dove un antico romano lancia la mano di un gigante e m'inorgoglisce ancora una volta) impazza nello shopping pomeridiano tra i negozi delle grandi firme. Non faccio in tempo a visitare il Museo di Rubens (un delitto grave quasi quanto il non essere entrati al Van Gogh Museum ad Amsterdam) e a sedermi al porto per godermi i raggi di sole di uno splendido pomeriggio invernale che s'insinua il dubbio amletico: rimanere qui per la notte, come preventivato, oppure tornare a Bruxelles in fretta e furia?
La landa desolata di serrande abbassate e luci spente che percorro dalle 19 in poi non lascia dubbi: eppure al lavoro mi avevano parlato assai bene della vita di questa città, non c'è nessuno, nessuno tranne qualche magrebino che non mostra buone intenzioni. Torno a Bruxelles.
E mentre il treno sfreccia tagliando di nuovo la linea immaginaria di cui ormai ho preso atto, continuo a chiedermi: dov'è l'unità, dov'è una nazione, dov'è il Belgio, dov'è l'Europa?
VP