Oiktos (2018)
di Babis Makridis
Yannis Drakopoulos (lawyer)
Evi Saoulidou (wife)
Pavlos Makridis (son)
Costas Xikominos (Nikos)
Makis Papadimitriou (dry clean shop owner)
Nota Tserniafski (victim's daughter)
Georgina Chryskioti (good neighbor)
Kostas Kotoulas (grandpa)
Oiktos ovvero "pietà", come recitano i titoli di tutte le distribuzioni internazionali tranne ovviamente quella nostrana che si adopera ad un'interpretazione sui generis, volendo neanche troppo sbagliata. Perché il film di Babis Makridis, qui al secondo lungo dopo L (2012), tratta un tema davvero delicato, inedito e sorprendentemente aderente ad una crisi dei valori del mondo occidentale e del suo paese in perenne disfatta socioeconomica: il bisogno disperato della solidarietà esterna.
Che è quella che prova un avvocato penalista grazie a tutti gli attestati che gli arrivano da clienti e personaggi del suo microcosmo (ad esempio i gestori di una tintoria) in seguito al coma quasi fatale della moglie. È rimasto a casa con un figlio pianista e stordito quanto lui, in una località balneare dove il bel tempo ha i connotati dell'irrealtà. E di fatto il film di Makridis si muove sul filo del grottesco: a metà la moglie rinsavisce e ritorna la vita di prima ad eccezione della nostalgia del conforto altrui. Una torta della bella signora della porta accanto viene a mancare ad ogni colazione e il protagonista perde il controllo sulla realtà sua e quella circostante.
Il film ha una struttura ellittica e un uso dei tempi dilatati e dei piani fissi, con una geometria della narrazione evidente anche nei dettagli dell'oggettistica (una serranda che si apre a inizio dei due due tempi), che è il marchio di fabbrica della cinematografia autoriale greca del decennio 2010, quella di Lanthimos e Avranas (Miss Violence). Un cinema costruito attorno ad un impianto di parabola etica che per larghi tratti ha il dono dell'equilibrio per un tema così difficile e fondamentale da trattare.
Equilibrio mozzato dalle intenzioni di base di Makridis, che a trequarti vengono svelate in tutto il suo bisogno di dissacrare spingendo forte il pedale della scorrettezza: il regista, così come il personaggio, perde anch'egli il controllo e si finisce in un territorio di avanguardismo grandguignolesco, condito di didascalie abbastanza inutili che mano a mano si rivelano pensieri del personaggio, che vanifica tutta l'architettura abilmente costruita con la forza della messa in scena.
Un peccato davvero: un altro dei tanti capolavori mancati.
VP