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martedì 16 luglio 2019

Domino (2019) by Brian De Palma


Domino (2019)
di Brian De Palma

Nikolaj Coster-Waldau (Christian)
Guy Pearce (Joe Martin)
Carice van Houten (Alex)
Søren Malling (Lars Hansen)
Paprika Steen (Hanne Toft)
Thomas W. Gabrielsson (Wold)
Eriq Ebouaney (Ezra Tarzi)
Ella-June Henrard (young model)


E poi ci sono quelle volte che i registi, anche i più grandi, vengono strapazzati da una produzione che rivendica la sua egemonia e il montaggio finale non viene riconosciuto con tanto di disgusto da parte di colui che dalla Nouvelle Vague in poi dovrebbe considerarsi l'Autore assoluto dell'opera audiovisiva.

Ma Domino porta comunque la firma di Brian De Palma, che per l'occasione non si toglie dai credits con l'escamotage di uno pseudonimo alla Alan (o talvolta Allen) Smithee, il nome vuoto più in voga della storia di Hollywood e di cui abbiamo una vasta filmografia che svaria da Lynch a Don Siegel ad Arthur Hiller e molti altri. I film di questo tipo hanno sempre un fascino particolare, al di là delle loro evidenti mancanze: l'eterna lotta tra chi mette i soldi e la mente che c'è dietro l'impianto stilistico di un prodotto dà vita ad una forma irregolare, una sorta di bootleg che si tramuta in una scheggia un po' impazzita.

E che scheggia, questo Domino, che in tutto e per tutto è un film di Brian De Palma; è evidente, straordinariamente evidente, la sua mano: la messa in scena coreografica, il climax nella costruzione delle scene madri (stupendo sia il prologo a Copenhagen con la caduta dai tetti sulle casse dei pomodori sia il finale ad Almeria con un uso innovativo del drone, e qualcuno ne doveva pur far saltare ed esaltare le potenzialità, pur subordinandolo alle esigenze narrative), il McGuffin hitchcockiano (una fondina dimenticata a casa, un cavo USB che nasconde dell'altro) usato in modo perfetto. È un film di Brian De Palma, anche se lui lo odierà all'infinito. Chissà se un giorno ci sarà un Director's Cut, che magari risulterà meno fascinoso della versione rimaneggiata (Blade Runner docet).

Per il resto la trama, che si dipana tra la Danimarca, Bruxelles e il sud della Spagna e vede coinvolti il Terrorismo Islamico e la CIA, è contorta, piena di buchi; i personaggi sembrano non avere una motivazione forte e decisa, i sentimenti quasi patetici nel senso peggiore del termine ma che in fondo si adattano allo stile baroccheggiante del regista. La critica non ha potuto fare a meno di dare addosso, scagionando giustamente De Palma. Il messaggio finale risulta cinico e controverso, tanto che una signora all'uscita dalla sala mi ferma e mi dice: "con un film del genere Salvini acquista punti". "Credo, signora, che gli americani abbiano altro a cui pensare!".

È evidente che De Palma avrebbe voluto scavare nelle ambiguità di un fenomeno come il terrorismo e la sensazione è pur sempre di un capolavoro mancato. Ma sarò un feticista del mezzo tecnico (e De Palma è pane per le mie ossessioni, da sempre), sarò controcorrente: davanti a certi sublimi movimenti di macchina, anche i più minimali, orchestrati con la maestria di chi tramuta in bello tutta la merda che gli arriva tra le mani, non posso fare a meno di chiedermi: come si fa a non amare tutto questo?


VP