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lunedì 15 luglio 2019

La Mia Vita Con John F. Donovan (2018) by Xavier Dolan


The Death and Life Of John F. Donovan (2018)
di Xavier Dolan

Natalie Portman (Sam Turner)
Emily Hampshire (Amy Bosworth)
Kit Harington (John F. Donovan)
Jacob Tremblay (Rupert Turner)
Sarah Gadon (Liz Jones)
Kathy Bates (Barbara Haggermaker)
Thandie Newton (Audrey Newhouse)
Susan Sarandon (Grace Donovan)


C'è un momento nell'ultimo film di Xavier Dolan in cui l'intervistatrice di un giornale prestigioso chiede su per giù al giovane che le racconta del suo rapporto a distanza con un celebre e tormentato uomo dello showbiz': "sono stata in zone di guerra con gente che veniva massacrata, perché mai dovrei appassionarmi ad una roba del genere?". Ed è esattamente quello che "arrovella il Gulliver" di noi spettatori di una storia a doppio binario; quella che lega un bambino americano sradicato in Gran Bretagna, vittima del bullismo a scuola, con tendenze omosex e chiaramente con rapporto problematico con la madre, al John F. Donovan del titolo che a New York vive l'angoscia del privilegio, delle luci puntate su di sé, dei problemi con una madre alcolizzata o semi-tale, tendenze omo anche qui e un'evidente predisposizione all'autodistruzione. Rapporto epistolare di maledettismo giovanile che accomuna un bambino, poi post-adolescente, che sogna la ribalta e un'intimità con il suo mito del tubo catodico e quest'ultimo ultra-trentenne che non sa che fare, che fugge e si ritrova in uno scantinato a parlare con un vecchio saggio, riconoscente verso di lui per la medesima passione scaturita nel nipotino che non vedremo mai.

Perché mai, per l'appunto, l'oggi ventinovenne Xavier Dolan, alla sua prima produzione in lingua inglese e con un cast pazzesco, ci ha appioppato una roba del genere? Dopo convincenti prove come l'esordio del 2009 J'Ai Tué Ma Mère e Mommy (e con il tema del rapporto madre / figlio che torna a mo' di loop infinito) l'enfant prodige del cinema québeco, che gira in pellicola e anche qui gioca in modo stucchevole con la profondità di campo, disperde un potenziale enorme per un film che ha perso già in partenza: tanto risulta pretenzioso e velleitario da non giustificare ogni trovata di regia. Il doppio binario è assolutamente asimmetrico e piuttosto che della morte e della vita di John F. Donovan, come il titolo originale riporta (quello italiano si avvicina maggiormente allo spirito di corrispondenza a distanza della pellicola), a venir fuori è la rabbia e la solitudine del personaggio del bambino. Il perché è presto detto: quando si parla di romanzo di formazione fino alla post-adolescenza l'autore, avendo vissuto il periodo, sa perfettamente di cosa parla. Chiaramente tutto si appiattisce quando si inscenano i dolori di un giovane trentenne, che teoricamente dovrebbe essere la figura centrale ma che manca completamente di forza, di equilibrio e di un'attenta geografia degli stati d'animo. L'abbraccio sotto la pioggia londinese della mamma Natalie Portman con il figlio che per presenziare un'audizione ha marinato la scuola è il vero punto alto di un film monco che vorrebbe prendere quota per poi rimanere nella superficie delle cose.

Pare uno di quei film patinatissimi di Mike Figgis di fine anni '90 ovvero dopo la consacrazione dello stesso con gli Oscar a Leaving Las Vegas (altro presunto genio del firmamento hollywoodiano). E la colonna sonora abbastanza risaputa, composta di brani pop famosissimi lasciati in sottofondo in una sorta di diegesi autoriale, dà la sensazione di un giovane autore che dovrebbe fare un passo indietro, liberarsi dei giudizi positivi ad oggi accumulati e del potere produttivo notevole di cui dispone e tornare ad un cinema "altro": quello che fino a Juste la Fin Du Monde (2016) gli era riuscito benissimo.


VP