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venerdì 1 febbraio 2019

Knight Of Cups (2015) by Terrence Malick

Ritorna dopo tanto tempo l'appuntamento con la rubrica Come Ti Stronco il Film Preferito. E come poteva tornare se non con un consiglio del prode zio Vincenzo? Che stavolta, dopo la fantascienza anni '80 di Brainstorm - Generazione Elettronica mi spinge ad un nuovo stillicidio per la visione dolorosa di una delle ultime opere di un autore che in passato ho amato tantissimo e che oggigiorno è diventato irriconoscibile: sto parlando ovviamente di Terrence Malick, la cui involuzione artistica dai tempi de La Sottile Linea Rossa (1998) non è seconda a quelle dei Dario Argento e dei Lars von Trier. Dunque diamoci sotto con questo film del 2015 interpretato nientemeno che da Christian Bale e Cate Blanchett.


Knight Of Cups (2015)
di Terrence Malick

Christian Bale (Rick)
Cate Blanchett (Nancy)
Natalie Portman (Elizabeth)
Brian Dennehy (Joseph)
Antonio Banderas (Tonio)
Freida Pinto (Helen)
Wes Bentley (Barry)
Isabel Lucas (Isabel)


8 e mezzo a Los Angeles per uno sceneggiatore hollywoodiano che vaga tra le palme, i loft e le feste in grande stile cercando dentro di sé e negli elementi vivi che trova attorno un contatto con la spiritualità in grado di legare il passato e il contemporaneo in un flusso di coscienza senza fine e pedinato da un grandangolo sempre rigorosamente ad altezza bacino che si muove diagonalmente con suggestive immagini sbieche che catturano gli spiriti della modernità.

La produzione, all'inizio del film, suggerisce una visione ad alto volume, per godere della stereofonia, del rumore degli uccelli, dei corsi d'acqua e della natura inerme, oceanica e desertica della California, di una variante adulta di The Tree Of Life, che già di per sé era il sepolcro di un regista che una volta era un grande autore, la cui carriera sembra rovesciata (i film del giovane Terrence sembrano più maturi, lucidi e saggi degli ultimi): oggi il vecchio Terrence è un cantore post new age che affastella suggestioni su suggestioni annullandone automaticamente la forza sia estetica che simbolica, in cerca di significati che si disperdono nel marasma dei suoni e dello sguardo solenne e curioso (di una noia già vista) di Christian Bale. Che si muove a piedi nudi per il Molo di Santa Monica, per Venice Beach, Las Vegas e Death Valley seguendo le seduzioni e i tormenti della vita: donne pagate o a cui regalare stivali firmati o una moglie maltrattata senza motivo, un fratello facinoroso che se la prende con un vecchio padre inerme e giudizioso. Installazioni d'arte contemporanea, festone glamour, discoteche piene di plexiglass e la consapevolezza che nella vita si può essere ciò che si decide di essere: un rotto in culo o un Santo.

"C’era una volta un principe che fu inviato dal padre, il re dell’est, in Egitto per trovare una perla. Ma quando il principe arrivò, gli abitanti del luogo gli versarono una coppa. Bevendola, egli scordò di essere il figlio di un re, si dimenticò della perla e cadde in un sonno profondo": L'Inno Alla Perla, testo gnostico del III secolo citato nell'incipit, che si fonde con una struttura in capitoli che come il titolo del film (Fante Di Coppe) si rifanno alle carte dei tarocchi.

Oltre tutto questo, l'orizzonte del banale. Quello che mai avremmo pensato di scorgere ai tempi de La Rabbia Giovane (Badlands, 1973). Oltre alla pubblicità di un profumo francese, ricorda vagamente Blackout! di Abel Ferrara (una delle opere minori, patinate e autoreferenziali del regista italoamericano) in cui all'epoca la perdizione dell'effimero e dell'alcol stritolava Matthew Modine e Claudia Schiffer incantava con un bacio saffico. Almeno quello...


VP