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domenica 25 novembre 2018

Non Aprite Quella Porta (1974) by Tobe Hooper


The Texas Chainsaw Massacre (1974)
di Tobe Hooper

Marilyn Burns (Sally)
Allen Danziger (Jerry)
Paul A. Partain (Franklin)
William Vail (Kirk)
Teri McMinn (Pam)
Edwin Neal (Hitchhiker)
Jim Siedow (Old Man)
Gunnar Hansen (Leatherface)


Ovvero il massacro della motosega in Texas; uno dei film indubbiamente sconvolgenti e rivoluzionari dei già di per sé sconvolgenti e rivoluzionari anni '70. Le intuizioni dell'opera dell'allora trentunenne Tobe Hooper, al secondo film dopo Eggshells (1969) e che negli anni '90 tornerà a sfornare un capolavoro come The Mangler, sono innumerevoli: dall'incipit del falso resoconto di fatti spacciati invece come reali, secondo la scritta appena avvenuti nell'agosto 1973, e liberamente tratti (d'altronde come Psycho un decennio addietro) dalle gesta del serial killer del Wisconsin Ed Gein, al tema della gioventù progressista di città alle prese con le forme arcaiche e tradizionali dell'America di provincia, soprattutto dei territori ex Confederati.

Parte nel 1974 un filo rosso che arriva oggi a Rob Zombie, passando per gli Halloween, i Venerdì 13 e i vari La Casa, proprio nel periodo degli hippies e delle ideologie: un viaggio della morte per i ragazzi sul furgoncino alla ricerca di vecchie dimore abbandonate di parenti, in un territorio che più sporco e mal curato non si può e una fauna umana locale altrettanto relegata ai margini e che tira fuori dalle proprie ossessioni, violentissime e tribali, il lato mostruoso di ciò che oggi usiamo chiamare white trash.

Quaranta e passa anni dopo l'esperienza filmica rimane unica e ineguagliata da qualsiasi angolo la si voglia vedere: dalla cura degli scarni dettagli scenici (che maschera la carenza di budget, 140.000 dollari al fronte di un incasso complessivo di quasi 31 milioni), al carattere minimal ma convincente dei personaggi, all'inconscio umano della mostruosità di carni squarciate e gemiti soffocati da una maschera e dal rumore assordante dei ferri del mestiere. Nessun film splatter di prima (ad esempio Blood Feast, 1963) e dopo (Cannibal Holocaust, 1980) è mai riuscito ad eguagliare il senso di smarrimento dell'ultima mezzora del film di Hooper: un viaggio nella follia in cui la macchina da presa entra ed esce dalla soggettiva della vittima, per accedere in una dimensione di visione che sembra sfondare le pareti del subconscio. Tutto è perfettamente leggibile come il presagio dell'imminente fine della speranza di un mondo di progresso (il contrario di Star Wars a ben vedere), proprio nella nazione che più di tutte ha spinto negli ultimi secoli a cambiare in tal senso la sensibilità dell'Occidente.

Non c'è redenzione, solo una possibilità di fuga per le strade sterrate e polverose di un vero inferno in Terra. Con seguiti inutili e un reboot con prequel negli anni 2000.


VP