Spesso parliamo di un'Italia senza speranze e quindi senza futuro, un paese vecchio comandato da vecchi che non muoiono mai e dove le generazioni che verranno saranno figlie per lo più dell'immigrazione da est e da sud. Un paese di manovalanza a basso costo e di laureati disoccupati, un popolo dalle corde artistiche sviluppatissime denigrate da un umanesimo che ormai ha perso qualsiasi riscontro concreto con la realtà quotidiana e soprattutto economica.
In una situazione del genere è difficile diventare artisti, primo perché tutti in questo paese vorremmo diventare scrittori, musicisti, cineasti tanto da creare una competizione ai limiti dell'impossibile, secondo perché i finanziamenti, i soldi in parole povere, sono una prerogativa fondamentale per creare opere e prodotti non amatoriali, quelli in grado di proporre una qualità tecnica tale da andare di pari passo con le ambizioni artistiche, quelli che vengono tagliati dalla mala politica e dagli obblighi del paese verso un'Unione Europea fatta di squilibri da tutte le parti. D'altro canto la tecnologia media è sempre più a portata di tutti, con software e contro software a dominare la scena, un universo (Internet) che ti permette di scaricare illegalmente i ferri del mestiere dando l'opportunità anche a un incapace di acquisire competenze che senza le basi, comunque, non gli permettono di certo di diventare un professionista; per non parlare dei mancati introiti che la pirateria di Internet risucchia in un mercato parallelo basato sul traffico di dati... insomma condizioni disastrose per una persona che ha passioni diverse dall'ingegneria informatica o dall'edilizia o dalle gestioni economiche.
Eppure c'è chi ancora ce la fa, chi parte da zero, o per meglio dire da un'esperienza normale in gruppi di musica elettronica, e carica un paio di canzoni, fatte con Cubase (ovvero con la continua aggiunta di elementi su un'unica traccia), su un social network tematico e finisce per sfondare, diventare la voce di una generazione. Parte da una canzone sui "pariolini", i ragazzi che frequentano Roma Nord e che dovrebbero rappresentare un benessere italiano, romano, e mano a mano compone il suo album di melodie immediate, sintetiche, al limite del ballabile, fatto di testi angosciosi come una caramella zuccherata imbevuta di veleno.
Il Sorprendente Album D'Esordio De i Cani è un disco, o una raccolta di mp3 se vogliamo vederla con le logiche di oggi, con tanti difetti e che di certo non farà la storia della musica leggera: eppure è l'opera che meglio di tutte racconta l'Italia di oggi, meglio di quelle degli artisti già affermati che vivono, la maggior parte, sui guadagni del ventennio tra i '70 e i '90, quando ancora la gente comprava le edizioni, o di indipendenti come Colapesce o Vasco Brondi che pur interessanti lasciano il tempo che trovano. Se tra cinquant'anni i nostri nipotini ci chiedessero come fosse la vita nel Belpaese del secondo decennio del 2000 non potremmo far altrimenti di mettere la voce di Niccolò Contessa come i nostri padri facevano con Battisti o gli Who per i più internazionali.
Perché I Cani siano un progetto vincente nel panorama discografico italiano odierno è molto chiaro: è l'opera indipendente e divertita di un classe '86 che oltre a fare musica campa d'altro, e che quindi non convive con l'ossessione di vendere o piacere al pubblico; nasce parlando prevalentemente di una zona di Roma, la più ricca e dal passato opulento, dunque la più decadente in tempo di recessione, filtrandone l'animo commerciale e cospargendone la patina di dubbi esistenziali verso cui l'ascoltatore medio, l'adolescente italiano borghese, si riconosce perfettamente. Ha un ritmo talvolta velocissimo da pieno synth pop anni '80 portato allo stremo e immerso in una realtà patinata ma allo stesso tempo drammatica. Si serve di Youtube e di applicazioni dell'Iphone per videoclip dallo stile naïf decisamente riuscito, cavalcando le mode "indie" e "hipster" nel modo più completo.
L'universo di Niccolò Contessa è fatto di ragazzine che "sacrificano i 18 anni curve su di un Macbook Pro" e che "vogliono andare a New York a lavorare, o a studiare" e dire ai genitori che "stanno male qui a Roma", di pedofili quarantenni "con un lavoro di merda ma che scrivono su Blow Up" e che "portano dischi alla fermata della metro A" dove un ragazzo sognatore, lo stesso Contessa, lo aspetta per la risposta ad un annuncio musicale. E poi ci sono le coppie, la gente in fila per una "door selection", i "pariolini" che "comprano e vendono cocaina" sempre "animati da un autentico Fascismo testimoniato ad esempio con gli adesivi sui caschi", dichiarazioni d'amore a Wes Anderson (con un videoclip tanto minimal quanto raffinatissimo) e quelle velleità "che ti aiutano a scopare" ma che non ti permettono di guadagnare la dignità perché "non sei davvero ricco né povero davvero... nel posto letto che non paghi per intero".
Questa è l'Italia come mai nessuno l'aveva descritta, con le parole più esatte e veritiere e che testimoniano la condizioni di almeno tre generazioni di giovani dello stivale dagli anni '90, l'inizio della grande depressione, della stagnazione, ad oggi. E i giovani, anche quelli che su Youtube commentano negativamente o con parole pesanti, perché Niccolò è pur sempre un benestante di Roma Nord, la parte più odiata da nerd e punkabbestia della periferia che puzza di vita vissuta, trovano nei brani della ghost band (Niccolò più altri collaboratori inclusi i Gazebo Penguins del disco successivo I Cani Non Sono i Pinguini, i Pinguini Non Sono i Cani), nel suo iniziale anonimato, nel suo rifiuto, per ora, dei mezzi televisivi e del conformismo, una valvola di sfogo e un movimento che davvero mancava in un'epoca di valori distrutti. Nella sua musica Contessa accomuna quei "finti nerd con gli occhiali da nerd", quei "radical chic senza radical", quei "nichilisti con un cocktail in mano che sognano di essere famosi come Vasco... Brondi" sotto un'unica stella.
Questo gli permette di fare il pienone, e di cantare in libertà, dei suoi "pariolini" e della sua Roma Nord, in quel tempio dell'alternativa talebana che è, non più, il Circolo Degli Artisti a due metri dal Pigneto e dalla Casilina. Le due date del concerto sono andate sold out e lo spettacolo sia di gente che di esibizione live è stato bello: i "pariolini" di tutta Roma, che quando ero adolescente io non mischiavano il proprio conformismo con giacche simil eskimo che richiamano tanto a quel Paradiso della gioventù contemporanea che oggi è Berlino, sono accorsi col beneplacito degli alternativi abituali ad ascoltare i pezzi di Glamour, il nuovo album.
Questo secondo lavoro è meno avvenente del primo, con suoni meno immediati ma più raffinati, più studiati, segno che qualcuno del settore s'è preso Niccolò sotto le ali protettive e gli ha dato un bel po' di consigli. Un album da ascoltare bene, meno generazionale, più intimo e che contiene gemme come San Lorenzo o Come Vera Nabokov, nonché un videoclip (Storia Di un Artista) che cita Piero Manzoni, la sua Milano e la sua merda d'artista.
È stato uno spettacolo anche visivo, con proiettate sorte di savescreen a tema molto Windows '95, una roba così retro da diventare vintage e dunque sorprendentemente appropriata; in uno di questi il volto di Pier Paolo Pasolini, bendato dal logo del nuovo disco, si muove al tempo della musica, poi diventa un pattern. Al che, estasiati, non ci rimane che il dubbio che dal 2011, anno d'esordio de I Cani, ossessiona un po' tutti, da chi Niccolò lo ama a chi lo apprezza a chi lo insulta su Youtube:
ma con tutta la rabbia dei giorni nostri, con la grande depressione che stiamo vivendo e che ogni giorno di più ci avvicina agli USA dell'inizio del secolo scorso, nel mondo che cammina al contrario come nel videoclip di Velleità, doveva essere proprio un ragazzetto di Roma Nord, uno che forse andava pure al Mamiani della Caterina di Hipsteria, a citare Pasolini e Manzoni, a cantare le contraddizioni e il malessere del mondo?
Allora è proprio vero che i benestanti, chi i soldi più o meno già li ha, sono quelli che hanno più idee, più senso dell'estetica, meno terrore di sbagliare e dunque più coraggio.
VP