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mercoledì 8 maggio 2013

Pyongyang (2003) by Guy Delisle




Pyongyang (2003)
di Guy Delisle
edizione Rizzoli Lizard - pag. 184 
16 euro


Il fumetto può essere considerato una forma di letteratura? E qualora non lo fosse, quant'è la distanza tra le due arti? La risposta potrebbe variare di caso in caso, ma mai letteratura e fumetto, ma anche guida turistica e documentario, sono stati così vicini come nella produzione editoriale di Guy Delisle.

Il fumettista canadese, nativo del Quebec, ha usato il suo talento nel disegno per pubblicare dei veri e propri reportage sulle sue avventure lavorative nei paesi più curiosi per un occhio occidentale; dal Medio Oriente alla Cina Delisle ci offre degli spaccati sociali ed esistenziali che si interrogano sulle contraddizioni del libero mercato e sul ruolo economico nell'organizzazione degli appalti.

Pyongyang è il più riuscito di una serie di libri francamente imperdibili, in primis perché si addentra nella vita allucinata e onirica della Repubblica Democratica di Corea. Un paese prigioniero di un sogno ideologico che lo allontana da tutto il resto del mondo; una dimensione umana fondata sulla propaganda di regime e sul culto della personalità tramandata di generazione in generazione che si avvicina quantomai alla divinità. Un posto così non può che rendere la trasferta di due mesi dell'autore un continuo confronto, ironico e pungente, con la rigida burocrazia e l'ossessiva presenza delle guide incaricate a non lasciare un attimo di libertà a qualsiasi straniero si trovi nel paese.

Così veniamo a conoscenza delle strambe logiche di mercato che permettono alla Corea Del Nord di essere una vera e propria nazione appaltatrice, paese low-cost che funge da base operativa asiatica per molte aziende occidentali, dove incredibilmente si possono trovare realtà come i Sek Studio ovvero uno dei migliori studi d'animazione del mondo in cui nel 2001 il nostro protagonista si è trovato a lavorare.

Lo stile del disegno elegantemente minimalista e chiaro funziona a meraviglia, soprattutto se contrapposto al monumentalismo tronfio dell'architettura e delle scenografie del socialismo reale che l'autore si diverte a smontare. Così, tra sberleffi e sarcasmi, l'opera si pone come vero e proprio inno alla libertà: una squisita lettura in grado di raccontare passato e presente (e forse futuro) con l'arma invincibile della leggerezza.


VP