Küf (2012)
by Ali Aydin
Ercan Kesal (Basri)
Tansu Biçer (Cemil)
Muhammet Uzuner (policemen)
Ali Çoban
Serpil Goral
Uno sguardo sommessamente torvo accompagna da diciotto anni l'esistenza di Basri tra i binari del suo lavoro, manutentore delle Ferrovie Dello Stato, e una quotidianità casalinga fatta di preghiere, ascolti radiofonici e cure per una strana forma di epilessia. Il giorno quindici di ogni mese Basri scrive una lettera a suo figlio scomparso durante gli studi universitari a Istanbul, probabilmente ucciso dalle forze governative tese a reprimere gli impulsi rivoluzionari. Dentro c'è la questione del Kurdistan turco, dramma ancora attuale nel 2012 tanto che l'ispettore di polizia non esita a intercettare le buste spedite da Basri e convocarlo per interrogatori al commissariato.
Basri guarda verso in basso, sia per proteggersi dalle domande dell'ispettore, tanto spietate quanto incuranti del dolore, sia per pulire col fazzoletto la tomba prima di una preghiera, sia per ferire con un arnese un collega di lavoro strafottente e perennemente ubriaco durante lo stupro di una prostituta.
Personaggi che testimoniano una condizione umana che, appunto, è muffa; volti vissuti, feriti, straziati da una sfiducia nei confronti delle istituzioni e dell'animo umano, che alzano la testa solo all'indirizzo di Allah che li protegge nel loro limbo fatto di lavoro e materie lasciate a marcire: gomme di una macchina, buste di plastica, una vecchia radio russa indistruttibile.
La regia dell'esordiente Ali Aydin si muove poco e mostra tanto. Come molto cinema della sua terra, ma anche e soprattutto dell'Iran, si immerge in modo controllato e rigoroso in un tempo dilatato per restituirne i lividi della quotidianità. L'insulto trattenuto del poliziotto al collega, che scherzava sul ritrovamento del cadavere del figlio di Basri, suona come un urlo che rimbomba da tutti lati di una camera fissa.
In un mondo normale nessuno dovrebbe sopravvivere ai propri figli.
VP