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sabato 14 dicembre 2019

Il Paradiso Probabilmente (2019) by Elia Suleiman


It Must Be Heaven (2019)
di Elia Suleiman

Elia Suleiman (ES)
Tarik Kopty (old neighbour)
Kareem Ghneim (young neighbour)
George Khleifi (waiter in restaurant)
Ali Suliman (brother 1 in restaurant)
Yasmine Haj (sister in restaurant)
Asmaa Azaizeh (Bedouin woman)
Grégoire Colin (man in metro)


In Palestina un rituale religioso si scontra con la disobbedienza di qualche guascone ed è il prologo e lo spirito di un'opera che da subito passa ad un altro livello. Quello di Jacques Tati e di Ioseliani: infatti Elia Suleiman è una sorta di Monsieur Hulot regista in cerca di finanziatori per un film sulla pace in Medio Oriente. Cosa lo rende così simile alla comicità minimal del maestro francese? Il fatto di non parlare mai (o meglio, quasi mai perché in effetti una battuta in tutto il film se la concede) mentre scruta, impassibile, le contraddizioni dell'umanità che lo circonda: dal ladro di limoni che si intrufola nel suo giardino per poi prendersene cura, al gruppo di rivoltosi con i bastoni, ai fanatici religiosi che non accettano le mancate attenzioni alle osservanze da parte del padrone di un'osteria, alle società parigine e newyorkesi (con tanto di persone che vanno in giro fucili in spalla) visto che in Francia e negli Stati Uniti il costernato omino va in cerca di finanziatori. Che sono ipocriti e sfuggenti come non mai: i francesi hanno letto la sceneggiatura e vi hanno trovato troppi pochi drammi socio-politici da cinema engagé, gli americani sono più impegnati a coinvolgere Gabriel Garcia Bernal (che interpreta se stesso) in un progetto sulla rivoluzione messicana tutta parlata e interpretata da yankee.

Il film è un mosaico di scenette minimali da commedia brillante che ricrea con spirito grottesco le impressioni per una società umana capace di ogni cosa. Se la gioca tutta sul piano della leggerezza impegnata, con situazioni iperreali e forzate al parossismo che dovrebbero trovare un equilibrio tra piano soggettivo e quello effettivamente oggettivo, vero marchio di fabbrica di tante opere del georgiano Otar Ioseliani, che come già scritto è il secondo punto di riferimento. Elia Suleiman non riesce affatto a trovare questo equilibrio e per quanto divertiti dalle macchiette e dal raggiro degli stereotipi sulla vita palestinese e sull'essere (intellettuali) nati in un territorio simile non si afferra il senso compiuto di un'opera che necessita di base di accortezze stilistiche e soprattutto ideologiche (sul cosa raccontare e il come in una forma che sia in qualche modo coerente e uniforme).

Quando la messa in scena e la poetica di un quotidiano ricreato non bastano.


VP