Pájaros De Verano (2018)
di Ciro Guerra & Cristina Gallego
Carmiña Martínez (Úrsula)
José Acosta (Rapayet)
Natalia Reyes (Zaida)
Jhon Narváez (Moisés)
Greider Meza (Leonídas)
José Vicente (Peregrino)
Juan Bautista Martínez (Aníbal)
Miguel Viera (the pupil)
Innanzitutto ancora complimentoni ai nostri prodi distributori, che puntano le strategie marketing di un film del genere sulla citazione leoniana più becera e scontata, quando invece anche i colleghi anglofoni si tengono più o meno aderenti allo spirito del titolo originale (Birds Of Passage). Dopodiché passiamo alla meraviglia e l'incanto di un'opera a quattro mani, anche se Cristina Gallego è una produttrice (qui anche in cabina di regia), che rappresenta una felice parentesi collaterale ai vari Narcos e alle epopee del narcotraffico centro-sudamericano che al cinema, così come nella televisione, incontrano il favore del pubblico.
Ma qui non si parte dagli spari e dalla catena industriale del mercato della droga, che dalla Colombia arriva negli opulenti Stati Uniti. Non si parte da un Pablo Escobar o da un Tony Montana che dalla povertà più esemplare dei propri contesti arrivano col sangue e la sfacciataggine ai vertici di imperi che si appoggiano al sistema del capitale. Qui si parte dalle tradizioni locali, come in un'opera del cinema nôvo ambientato nel sertão brasiliano. Il deserto è quello della Colombia settentrionale, popolato da gruppi tribali come gli wayuu, con le loro organizzazioni di stampo familiare, le doti delle donne da pagare a caro prezzo (un numero spropositato di animali da offrire al villaggio) e le anziane che vegliano sulla purezza e l'aderenza alle tradizioni dei giovani, che passano periodi di isolamento per proteggersi dagli spiriti maligni e dalle cavallette e dagli uccelli che portano minacce.
È in questo contesto che si muove Rapayet, un uomo normale di stipe decaduta che chiede la dote di una delle ragazze di maggior valore e che davanti alle pretese esose, non soddisfatte dalle pur clementi raccomandazioni dei messaggeri del villaggio, trova nel trasporto della marijuana, l'oro verde, una chiave per arrivare alla felicità. Che per lui non è quella dei gringos, ovvero gli americani che mira incuriosito da lontano e che in Colombia si danno alle feste in spiagge paradisiache, da buoni hippies degli anni '60 che però al contrario degli equivalenti in patria sono in Sudamerica, pagati, per fare propaganda contro il Comunismo che potrebbe attecchire facilmente proprio nei paesi latini. La felicità per lui è nel matrimonio e nella famiglia con la sua amata Zaida. "Viva il Capitalismo!" invece tuona il compare di Rapayet, che al contrario di quest'ultimo non ha l'obiettivo dello sposalizio secondo i dettami di una tribù, ma rappresenta l'anima più rapace del libero mercato visto dalla parte dei più poveri. Poveri che si organizzano familiarmente e tirano su il sistema con cui arricchirsi come non mai... fino alla guerra e al limbo in cui non resisterà più nulla di umano.
"Guerra" e "Limbo" che sono due dei cinque capitoli del film, che raccontano l'ascesa e il decadimento tra il 1960 e il 1980 non solo di un uomo mecenate alla Tony Montana di Scarface, bensì di una vera e propria congregazione umana, le cui consuetudini arcaiche trovano prima una sponda e poi un tristo mietitore nelle contraddizioni della società moderna del capitale. La struttura narrativa, fatta di un rapporto con la natura circostante anti-verista, a momenti metafisica (la casa quartier generale del periodo d'oro del protagonista è una cattedrale di architettura razionalista nel paesaggio arido percorso esclusivamente dai SUV che nel corso degli anni hanno rimpiazzato gli asini), dà vita ad un'epopea criminale i cui caratteri ben marcati di basica umanità tribale affrontano la Storia e i cambiamenti della propria parte di mondo quasi loro malgrado. E questo aspetto è straordinariamente sottolineato da uno stile della regia che lavora magnificamente di sottrazione e con il fuori campo senza per questo rinunciare alle rese di conti, al sangue e allo spettacolo scenico come nel miglior cinema di un west periferico che vorremmo vedere più spesso.
Ciro Guerra è un 1981 che nel 2015 sorprese il mondo con il bianco e nero di El Abrazo De la Serpiente. Uno dei nomi che ci riconcilia con un modo di fare cinema vero e intenso, attento ai particolari e agli equilibri della trama e dello stile di regia.
Un qualcosa di altro e di grandioso è possibile... basta guardare dalla parte giusta, anche in questi anni.
VP