Per chi ama la letteratura, scrivere racconti, essere cittadini del mondo e riflettere sulla Settima Arte

mercoledì 3 aprile 2019

Dumbo (2019) by Tim Burton


Dumbo (2019)
di Tim Burton

Colin Farrell (Holt Farrier)
Michael Keaton (V. A. Vandevere)
Danny DeVito (Max Medici)
Eva Green (Colette Marchant)
Alan Arkin (J. Griffin Remington)
Nico Parker (Milly Farrier)
Finley Hobbins (Joe Farrier)
Roshan Seth (Pramesh Singh)


Ritorna sullo schermo il "pachiderma volante", che non viene portato da una cicogna, bensì già nascosto sotto un cumulo di fieno da una mamma che sembra malata, sdraiata nello scompartimento del trenino ridente, nel vero senso del termine, che taglia il Midwest per le esibizioni in Arkansas. È una compagnia circense che gira l'America, il cui tenutario ha sogni di gloria esauditi solo dall'eccezionalità di una performance. Il piccolo Jumbo, la cui J rovesciata per errore finisce per diventare una sorta di D (ergo Dumbo, da "dumb" ovvero scemo in inglese), impara a usare le orecchie gigantesche aspirando una piuma: lo aiutano i figli di un reduce di guerra mutilato, addestratore di animali, che vedono nella scienza un'opportunità per il Novecento e che credono fermamente che solo l'interesse per qualcosa possa meritare la conoscenza. Sicuramente non l'interesse di Monsieur Vandevere, che vede nella scoperta del boss della compagnia Max Medici la punta di diamante per la sua impressionante Dreamland e finalmente scucire al banchiere, che finanzierà in futuro le spedizioni spaziali, i soldi che lo renderanno ancora più ricco. Ma Dumbo vuole solo la sua mamma da cui viene separato da un'umanità fatta di violenti deboli di cuore (e che quindi non sono potuti partire in guerra) e orfani arricchiti che col senno di poi considerano una benedizione la morte dei propri genitori per la spinta all'autodeterminazione.

Che è il tema più forte di questa rivisitazione del forse più grandioso prodotto Disney, ma anche di animazione mondiale, di sempre. Il villain interpretato da Michael Keaton è la vera stella insieme al piccolo elefante (costruito e animato al meglio) di un kolossal che per il resto addolcisce lo sviluppo di un racconto che invece nel 1941, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale (e infatti in Italia uscì nelle sale solo nel '48), aveva un approccio incredibilmente traumatico per il trattamento di temi come la maternità, l'abbandono e addirittura, nel caso del successivo Bambi (1942), la morte del genitore. La Disney classica puntava ad educare i bambini degli anni '40 ad una maturità favolistica che li avrebbe aiutati a crescere molto velocemente (e con dei valori veicolati dalla forza morale delle storie), perché il mondo in guerra non lasciava scampo alle rassicurazioni e a una fanciullezza da vivere con calma.

Nel 2019, fatto di supereroi che si moltiplicano tra Marvel e DC Comics e rivisitazioni di classici come l'anno scorso è accaduto a La Bella e la Bestia, un Dumbo non può far altro che arricchire le casse della casa madre che tira su per l'occasione la produzione più scontata del mondo. A chi vuoi dare una storia del genere se non a Tim Burton? E non vorrai mica coinvolgere un Danny De Vito che rinchiude scimmie nei cassetti della scrivania...

Ma al di là della precisione delle dinamiche produttive e che comunque stona con il desiderio del pubblico di rimanere a bocca aperta, anche solo per qualcosa di inaspettato, perché la vera magia è nell'imprevedibile, e qui è esattamente tutto come uno se l'aspetterebbe (finale catartico incluso, relegante un personaggio cardine dell'immaginario classico come Dumbo al rango di un Free Willy di second'ordine), c'è una cosa che sorprende in negativo. E non è tanto la reinterpretazione discutibile ma che possiamo anche accettare della scena dell'incubo psichedelico degli elefanti rosa, che è la vetta assoluta del cinema d'animazione che fece del Dumbo originale il capolavoro imprescindibile che è e che resterà patrimonio della creatività umana, qui reinterpretato come gioco di bolle di sapone prima di una performance del nostro, bensì l'assoluta mancanza di un altro tema, forse il più forte e violento del prototipo, che era quello del confronto con gli altri elefanti e la conseguente discriminazione che porta il povero protagonista a volersi segregare nell'ambito della propria specie. Che peraltro è un tema mai come oggi così attuale e anche presente nella gran parte dei lavori di Tim Burton. Questo sì lascia a bocca aperta.

Se i bambini del '41 in America e nel '48 in Italia scoprivano tutte queste verità sulle contraddizioni umane sedimentate in una favola di elefanti e uccelli maleducati che cantano jazz, i corrispettivi del 2019 dal Dumbo burtoniano imparano che gli elefanti non solo possono volare, ma anche comprendere l'inglese parlato dagli umani, con il pachiderma che precisamente esegue le direttive di chi lo aiuta a tornare dalla sua mamma. Un pachiderma poliglotta.


VP