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venerdì 29 marzo 2019

Ricordi? (2018) by Valerio Mieli


Ricordi? (2018)
di Valerio Mieli

Luca Marinelli (lui)
Linda Caridi (lei)
Giovanni Anzaldo (Marco)
Camilla Diana (ragazza rossa)
Anna Manuelli
Alice Pagani


Titolo inutilmente didascalico per un film che si pone come panico e che pretende dallo spettatore dei collegamenti mentali tra le varie tracce che il regista Valerio Mieli (a quasi 10 anni dall'apprezzato esordio di Dieci Inverni, produzione italorussa del 2009) suggerisce con pennellate di narrazione e fantasie rielaborate a mo' di tela impressionista o romanzo dannunziano.

Lui e lei non hanno nomi, o meglio se li sussurrano in privato al di fuori della nostra portata, e si conoscono in una festa sfarzosa, con abiti galanti e un savoir faire timido e composto; un set che non tradisce in realtà la natura dello stato d'animo dei due, perennemente alla ricerca di una scintilla da parte di lei (che vive di una luce tutta personale) e scarno e aderente a sentimenti di instabilità e pensieri mortuari da parte di lui. Da lì nasce la relazione, che non è scandita da eventi cronologici, bensì da continue digressioni temporali che portano i protagonisti a rivivere le genesi dei propri tormenti. Lui è finito in collegio, dove veniva umiliato per una defecazione in piscina salvo poi rifarsi con le critiche crudeli ad una poesia di un amico, ha avuto tante relazioni liquide con ragazze ombrose (inclusa una ex tossica del collegio che lo inizia alla droga psichedelica) e ogni volta che entra in una casa, che prenderà con lei per viverci una seconda volta, ricorda perfettamente ogni trauma della dimensione infantile. Lei, trasognata e di un erotismo unico e compassato, accompagna il percorso di lui con grazia passionale e qualche tentennamento legato ad un mistero esistenziale che la attanaglia. L'amore è un po' come uno spartito che suona durante un incontro notturno al Verano, mentre la città si appresta a festeggiare la fine dell'anno.

E il problema di opere come queste è proprio nel lavoro enorme e difficilissimo che un autore deve necessariamente intraprendere nel bilanciamento dei sentimenti e delle frasi espresse. Il film inizia benissimo, con un continuo ribaltamento dei piani cognitivi, in cui l'immaginazione mostrata mette in dubbio, contrasta e talvolta arricchisce, la natura oggettiva del narrato. In questo senso è stravagante come Mieli non abbia lavorato con la diegesi dei temi musicali, mai accentuati in modo appropriato, creando un distacco stonante tra la visione dello spettatore e il cuore del film. Mano a mano che la pellicola procede, il continuo affastellarsi di digressioni emotive porta ad uno scontro di visioni che fanno a pugni a vicenda penalizzando la suggestione che dovrebbe splendere più di ogni altra cosa.

Mieli perde il totale controllo della forma dell'opera, che nel finale si concede sbavate poetiche che in realtà ne indeboliscono la struttura complessiva. Non punta ad un minimalismo espressionista di taglio bressoniano come ad esempio faceva Giovanni Davide Maderna in Questo È il Giardino (1999) oppure sulla scansione temporale del rapporto di una coppia fatta di imprecisioni e cambiamenti impercettibili ma totali come in Un Amore (1999) di Gianluca Maria Tavarelli; i due esempi che si avvicinano a ciò che Mieli fa dal suo esordio, provando ad innovare un linguaggio che senza una geometria chiara tende a incartocciarsi su se stesso. Si affida giustamente agli attori, belli, magnetici: il pur bravo Luca Marinelli, forse un po' cliché del se stesso ne La Solitudine Dei Numeri Primi, stavolta perde il confronto con una strabiliante Linda Caridi: volto e sospiri di echi kieślowskiani. Il futuro del cinema d'autore intimista italiano deve necessariamente ripartire dai suoi occhi profondamente enigmatici.


VP