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venerdì 28 dicembre 2018

Cold War (2018) by Pawel Pawlikowski


Cold War (2018)
di Pawel Pawlikowski

Joanna Kulig (Zula)
Tomasz Kot (Wiktor)
Borys Szyc (Kaczmarek)
Agata Kulesza (Irena)
Cédric Kahn (Michel)
Jeanne Balibar (Juliette)
Adam Woronowicz (Consul)
Adam Ferency (Minister)


Lui e lei nel mondo dei musicisti dall'altra parte della Cortina Di Ferro... il Muro di Berlino ancora non è chiuso e si può passare al libero mondo senza fili spinati, ma loro si incontrano e si innamorano lì, in Patria, bellissimi e delicati. Lui è un direttore d'orchestra, lei una cantante di roba nazional-popolare internazionalista, biondina con abiti contadini tradizionali, talvolta inneggiante Stalin come da indicazioni di partito. Ma la chance per fuggire la trovano durante una tournée a Berlino: si danno l'appuntamento, lui sfrutta l'occasione, lei rimane con gerarchi e diplomatici nel Paradiso socialista. Dunque l'amore o la guerra fredda (non fa così differenza) si sposta a Parigi, tra i caffè e i pianobar... e un appartamento in cui far l'amore. E ritrovarsi così nella libertà e scoprirvisi invece non liberi dalle proprie ombre.

Un peccato, davvero un peccato, questo mêlo polacco del regista premio Oscar di Ida, che strizza l'occhio a Casablanca e catapulta lo spettatore in un'Europa in bianco e nero dove la diffidenza incontra il sentimento. Ha una prima parte ambientata in Polonia che è un capolavoro vero, tra ricostruzioni ambientali e performance musico/teatrali in cui il regista dà sfoggio di una grazia notevole combinata ad atmosfere decadenti di pieno Novecento mitteleuropeo. Una sintesi efficace di contenuto e forma, in cui il ritmo non cede mai e i personaggi acquistano un peso specifico di rilievo. Classico e profondo, come un romanzo decadentista degli anni di riferimento.

Invece è proprio quando l'azione si posta in Francia che lo stile di Pawlikowski e la forza dei personaggi (comunque interpretati dagli strepitosi Tomasz Kot e Joanna Kulig) scemano. Il film pare letteralmente sbrodolarsi come se l'autore non riuscisse ad andare di pari passo con i tormenti contraddittori dei suoi protagonisti. Le performance musicali sono girate con piani sequenza circolari che per quanto elegantissimi sembrano staccati dal corpo narrativo del film.

Pawlikowski vuole dimostrare a tutti i costi la propria indubbia padronanza del mezzo e il suo film ricerca morbosamente una raffinatezza che finisce per perdere mano a mano che si arriva ad un finale discutibile e tirato per le lunghe, per quanto la pellicola non superi neanche l'ora e mezza.

Un capolavoro mutilato dalla smania di grandezza.


VP