Per chi ama la letteratura, scrivere racconti, essere cittadini del mondo e riflettere sulla Settima Arte

sabato 24 novembre 2018

The Woman Who Left (2018) by Lav Diaz


Ang Babaeng Humayo (2016)
di Lav Diaz

Charo Santos-Concio (Horacia Somorostro / Renata)
John Lloyd Cruz (Hollanda)
Michael De Mesa (Rodrigo Trinidad)
Nonie Buencamino (Magbabalot)
Shamaine Buencamino (Petra)
Mae Paner (Warden)
Mayen Estanero (Nena)
Marjorie Lorico (Minerva)


Un dormitorio femminile con un'insegnante reclusa che, verremo a sapere, ha pagato ingiustamente una pena trentennale: l'autrice del misfatto ha finalmente testimoniato e lei è di nuovo libera. Libera di tornarsene in una casa non sua, da una figlia all'epoca bambina e che oggi non si comporta da tale e chiaramente non per colpa propria. Allora la mancanza di prospettive dà il via libera al desiderio di vendetta, contro l'uomo che 30 anni prima fu il mandante dell'omicidio, che oggi si è asserragliato in un villaggio fuori Manila: è uno degli Dei che nel 1997, ovvero quando Hong Kong è passata da colonia britannica sotto il controllo cinese, hanno beneficiato dello spostamento di multinazionali e flussi di denaro nelle Filippine, in barba ad una popolazione contadina e non solo invece rimasta indietro nelle baracche. Chiaramente i rapimenti di manager e imprenditori sono all'ordine del giorno e quest'uomo è libero di spostarsi, al fianco di guardie del corpo, e farsi vedere dal popolo giusto in Chiesa, dove non riesce neanche a invocare perdono a Dio per le innumerevoli malefatte. Domanda al Prete l'origine del Male e delle vie di redenzione per tanto dolore inflitto: non c'è risposta. Ma intanto lei ha raggiunto la cittadina e si immerge nel sottobosco diurno e notturno della località al ridosso del mare: di notte, sotto altre vesti, stringe amicizia con un venditore di street food locale, con figlia malata, di giorno si prende cura di un transessuale epilettico in fuga dalle pressioni famigliari e in balìa della propria perdizione.

Gli ingredienti del revenge movie umanistico ci sono tutti e la messa in scena in campo lungo immerge lo spettatore nella più bella delle vendette di un'umanità relegata ai margini, vittima dell'ingiustizia sociale ed economica, verso i Signori che tutto manipolano. Lav Diaz, sessantenne dalla carriera ventennale culminata negli ultimi tempi nella produzione di film fiume costellati di tempi dilatati e ambienti catturati spesso al di fuori della narrazione stessa, con la condivisione da parte dello spettatore di tempi d'attesa semi-naturali un po' come avviene in Europa con Béla Tarr, vince il Leone D'Oro a Venezia 2016 con un'opera ibrida che mescola sentimenti forti e spettacolari e uno stile autoriale che scopre con grande mestiere e onestà dello sguardo le proprie carte giocando infine di sottrazione senza intaccare la completezza della vicenda raccontata e in piena armonia con gli ambienti e la forma complessiva delle quasi 4 ore di visione.

È un cinema potente ed eccezionalmente moderno, che offre personaggi memorabili (uno su tutti il trans Hollanda) dipinti con pochissimi tratti e approfonditi nelle complesse psicologie. La rabbia alla base del film si diluisce nella straordinaria bellezza di un'umanità varia, in cui anche il nemico è sorretto da pensieri e velleità di redenzione nobili, pur costretto dalla natura delle cose (e dal Cinema stesso) a rimanere nel proprio ruolo senza cui il film non darebbe vita al grande luna park, sulle strade di campagna o sulla sabbia della costa in festa (non importa), della vita e delle sue lotte.


VP