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giovedì 1 novembre 2018

Halloween (2018) by David Gordon Green


Halloween (2018)
di David Gordon Green

Jamie Lee Curtis (Laurie Strode)
Judy Greer (Karen)
Andi Matichak (Allyson)
James Jude Courtney (the shape)
Nick Castle (the shape)
Haluk Bilginer (Dr. Sartain)
Will Patton (Officer Hawkins)
Rhian Rees (Dana Haines)


No, non è un reboot o meglio non è un reboot del reboot, che di fatto c'era già stato nel 2007 ad opera dell'intelligente e talentuoso Rob Zombie, che introiettava la storia di Michael Meyers rendendola compatibile col proprio mondo "white trash" allontanandosi dal modello gotico carpenteriano di fine anni '70. Modello originario che parlava di un'America puritana e di una cinematografia d'annata che si cibava dei Peeping Tom e dei Blood Feast, sperimentazioni di un Cinema libero e a basso costo, per proporre infine un nuovo modo di fare horror che sarebbe diventato paradigma degli anni '80 nonché vero e proprio genere a sé: lo slasher.

La macchina di Carpenter si muoveva tra le lenzuola stese delle house americane, giocava di finte e vere soggettive per innescare il meccanismo dell'auto-paura, lo spettatore soffre del suo stesso sguardo, l'alchimia voyeurista che il britannico Michael Powell aveva trovato un decennio prima. Poi sarebbe stato il tempo di Jason Woorhees e Venerdì 13, di Hellraiser, Nightmare fino agli anni '90 di Scream. Poi gli anni 2000 e Rob Zombie, il rocker degli orrori familiari e segregati nella provincia americana appunto "white trash", alla John Waters per dire, porta Halloween nei territori del barocco... un Texas Chainsaw Massacre (ovvero Non Aprite Quella Porta, Tobe Hooper 1974) solo più psicologico, che indaga sul passato di Michael Mayers mettendolo davanti agli impulsi di violenza propri e di quelli patiti da lui stesso. L'America è malata, il mondo intero anche: mai un'interpretazione è stata più giusta.

Oggi, anno domini 2018, tale David Gordon Green riporta la saga, che prima di Zombie era arrivata a 7 esemplari, nella sua rincorsa al botteghino contro gli altrettanto numerosi Friday 13th di Sean Cunningham, più un curioso episodio (Halloween III, Tommy Lee Wallace 1983) che niente aveva a che fare con il killer Michael (e che a dire il vero non era niente male), nei territori carpenteriani (e peraltro il caro John è in veste di produttore esecutivo). Stavolta però il prode killer lo troviamo direttamente in prigione: sono due giornalisti forestieri a tampinarlo con tanto di maschera (che servirà al merchandising del film), salvo poi, sempre in cerca di una fantomatica verità su cosa accadde 40 anni prima, dirottare la propria autovettura verso una strada sterrata dove vive, indovinate chi?, Laurie Strode, la soave ragazza WASP degli anni '70 tampinata pedissequamente dal terribile mostro nel corso dei decenni... e che oggi è diventata una "white trash" vera allontanata da tutti.

E dunque la sceneggiatura prende la strada in assoluto più noiosa e lineare possibile. Ma a ben vedere, noia narrativa a parte, questo Halloween, che non è seguito da numeri, che si propone al pubblico di fine ottobre come un nuovo reboot senza in realtà esserlo, anzi svelando mano a mano la sua natura di mero seguito tra i seguiti degli anni '80 e '90, potrebbe essere un gran bell'esemplare della serie: perché dall'inizio della mattanza David Gordon Green quantomeno riesce a creare delle atmosfere ad hoc per uno spettacolo pregevole. I set interni ed esterni richiamano la miglior tradizione gotica americana e ci sono scene (il pullman del manicomio rovesciato, l'omicidio del seduttore grassoccio della fidanzata del miglior amico) che funzionano bene.

Peccato che alla fine questo Halloween si carica di significati davvero inquietanti: a conti fatti sembra un'apologia delle armi e non si può rimanere impassibili di fronte ad un vuoto ideologico per un episodio di una saga il cui primo esemplare invece nel lontano '77 si poneva formalmente come critica sedimentata ad un modo di essere americani e al mito della tradizione dell'America stessa. Chissà cosa ne pensa davvero Carpenter: verdoni in mano permettendo.


VP