Adieu, Plancher Des Vaches! (1999)
di Otar Iosseliani
Nico Tarielashvili (son)
Lily Lavina (mother)
Philippe Bas (moto driver)
Stephanie Hainque (girl at bar)
Mirabelle Kirkland (maid)
Amiran Amiranashvili (hobo)
Joachim Salinger (beggar)
Otar Iosseliani (father)
La piattaforma di vacche del titolo originale, che fa riferimento all'espressione utilizzata in passato dai marinai come forma di amore per il mare aperto e di disprezzo per la terraferma, è una vita parigina che si svolge in una magione fuori città, proprietà di una manager sempre in elicottero e che talvolta si dà all'esibizione canora e di ballo in compagnia di una grottesca cicogna, in perpetua ostilità verso un marito ozioso (interpretato dal regista) e amante dei trenini su pista elettrici, piuttosto protettiva verso ogni fanciullo della casa servito e riverito dalle cameriere. Uno dei fanciulli, il più grande, talvolta prende la barca e se ne va a Parigi per mischiarsi con il popolo più basso e meschino... aiuta ladruncoli e mendicanti a fregare il prossimo (tutti organizzati in una gang che si contrappone ad altre che non esiteranno a menar le mani e agitare i ferri) e sorprendentemente si presta egli stesso ai lavori più umili: pulitore di vetri, lavapiatti in una tavola calda. Finché non si innamora della figlia del padrone di un bar, che intanto viene però presa di mira da un altro giovane sbandato e senza fissa dimora (a meno che non si consideri una dimora un ripiano alto con un letto a pochi centimetri dal soffitto), che, quando non lavora come igienista delle carrozze dei treni, prende a prestito una motocicletta da energumeni e si veste in giacca e cravatta per adescare ragazze e portarle su una barca piuttosto frequentata anche da altra gente: una sorta di albergo a ore sull'acqua.
Ricchezza e povertà, una borghesia molto discreta e un popolo genuino e per forza di cose anche cinico e immorale che popolano una terraferma canaglia e proprio per questo vitale, in cui il valore più importante è quello dell'ozio e della condivisione del vino e delle altre forme di piccoli piaceri possibili (un tiro col fucile e un gioco con i calici per impressionare i compagni di bevute).
Un'idea di Cinema figlia dei Buñuel (impossibile non pensare a lui) e dei Bresson, ma c'è anche Jean Vigo: un'anima profondamente europea di un regista georgiano più volte vittima della censura sovietica (emblematico il suo Pastoral, 1975) e che dagli anni '80 è stato accolto e coccolato dalle capacità produttive e intellettuali del vecchio continente (soprattutto Francia ma anche Italia, per quanto anche questo gioiello, distribuito dall'Istituto Luce, abbia avuto poca visibilità e addirittura sia finito fuori catalogo).
Un film che ricrea un universo circoscritto pulsante, dove i personaggi più disparati, anche quelli più di passaggio, tornano continuamente in scena. Iosseliani (che dirige e monta) si abbandona al piacere della narrazione e della curiosità verso le contraddizioni umane con la sua anima davvero libera (forse ultimo grande esempio di cinema anarco/intellettuale di stampo novecentesco) che scala le vette dell'inaspettato. Sotto e sopra il piano dell'azione non c'è altro che il cuore pulsante dell'esistenza. Si può leggere come un pamphlet o come una semplice fiaba metropolitana: funziona straordinariamente in entrambi i modi.
VP