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martedì 13 febbraio 2018

Totò Che Visse Due Volte (1998) by Daniele Ciprì e Franco Maresco


Totò Che Visse Due Volte (1998)
di Daniele Ciprì e Franco Maresco

Marcello Miranda (Paletta)
Carlo Giordano (Fefè)
Pietro Arciadiacono (Pitrinu)
Salvatore Gattuso (Totò / Don Totò)
Angelo Prollo (apostolo)
Camillo Conti (Tremmotori)
Antonino Carollo (Don Nenè)
Antonino Cirrincione (Cascino)


È stato l'ultimo grande film italiano sequestrato in sede di censura: alla fine degli anni '90, in cui la droga (con Trainspotting) e la sessualità più conturbante (ad esempio con Crash di Cronenberg) sono stati finalmente sdoganati, a scandalizzare il belpaese rimane il vilipendio alla religione. Che poi ci sarebbe da discutere se il secondo lungometraggio degli autori di Cinico TV (1993/1996), Daniele Ciprì stimato direttore della fotografia (ad esempio fedele di Bellocchio) e Franco Maresco anche sceneggiatore dei musical di Roberta Torre (Tano Da Morire, 1997) abbiano davvero vilipeso il sacro oppure lo abbiano trattato con rispetto e profondo senso della drammaticità immergendolo nell'orrore quotidiano come e più di quanto lo faceva Pasolini.

Orrore di una Sicilia spoglia e soleggiata, dove uomini e donne (interpretate da uomini come nella tradizione del teatro greco) dal ventre deforme e dalla coscienza genuina e meschina, attaccati ai simboli universali della religione e del sesso, danno vita nelle baracche e negli acquitrini infestati di topi ad un dramma evangelico in tre atti. Nel primo un povero Cristo ruba la catenina d'oro donata dal boss locale alla statua del Cristo in piazza e, una volta scoperto in una casa di piacere, viene sequestrato e messo al posto della statua stessa. Nel secondo un peccatore in cerca di buon partito s'innamora dell'anello del suo sposo, che sfila dall'anulare del consorte quando questo è ormai trapassato e proprio per ciò subirà conseguenze nefaste. Nel terzo c'è la resurrezione di Lazzaro, sciolto nell'acido da Totò il boss e salutato dal Totò incappucciato che parteciperà a mo' di Cristo ad una cena inquadrata per l'appunto come l'Ultima di Leonardo Da Vinci. Nel frattempo però un angelo intonante canzoni neo-melodiche viene violentato, così come ci sono accoppiamenti tra uomini e animali (galline) un po' come accadeva in una delle scene iniziali de Lo Zio Di Brooklyn, prima opera del duo siciliano (1995), in cui un uomo penetrava un asino.

È con quella stessa scena, ripresa durante una proiezione in sala dove i protagonisti di Totò Che Visse Due Volte si incontrano per la prima volta (in compagnia anche di uno strano ragazzo che si toglie un occhio finto guardando in camera, proprio come negli anni '20 faceva una donna dell'età dell'oro buñueliana) salvo poi ritrovarsi al bagno di quello stesso cinema a stimolarsi gli inguini, che il film inizia e testimonia l'appartenenza dello stesso ad una tradizione di cinema d'avanguardia che non si fa remore a sfidare il non mostrabile e la morale comune.

Ancor più di Pasolini (ma anche di Bresson e dello stesso Buñuel), Ciprì e Maresco innalzano la sacralità partendo dal basso e da ciò che l'occhio non vorrebbe mai vedere. In questo senso, proprio per la profonda considerazione della dimensione spirituale, lo stile spoglio e minimale e la dimensione esistenziale del film, evidenziate dal bianco e nero denso e struggente di Luca Bigazzi, il ripetuto uso dell'iconoclastia non lascia mai una sensazione di pesantezza o di reale uso offensivo e gratuito della stessa. Anche la scena più imbarazzante, girata in ralenti e con inquadrature ravvicinate francamente irricevibili, non lascia strascichi di volgarità impressa nella memoria e nella coscienza dello spettatore.

Che, fermo a distanza dal quadro di ombre nere crocifisse sullo sfondo di un cielo terso e pulito, viene proiettato in una dimensione di parabola evangelica stilizzata che racconta del reale e del suo senso molto più di tante altre opere considerate o considerabili "realiste".


VP