My Generation (2017)
di David Betty
David Bailey
Michael Caine
Joan Collins
Roger Daltrey
Marianne Faithfull
Lulu
Paul McCartney
Twiggy
Può sembrare così strano in questi tempi di libertà dei costumi unita alla mancanza d'intraprendenza generazionale, ma c'è stata un'epoca così simile nelle forme quanto così lontana nello spirito collettivo giovanile che ha distrutto i canoni dell'Inghilterra e dell'Occidente che furono; è da quei canoni che Michael Caine, che come racconta egli stesso si chiama Maurice Joseph Micklewhite Jr. e in sede di iscrizione al sindacato scelse il nome d'arte in omaggio a Humphrey Borgart (L'Ammutinamento Del Caine, 1954), inizia il suo viaggio tra i protagonisti e le tendenze degli anni '60 britannici e soprattutto londinesi (ma ovviamente c'è anche Liverpool e i Beatles): l'Inghilterra era un paese organizzato e noioso, in cui ogni membro della società, dal più in alto al più operaio, veniva messo su una strada già prestabilita secondo gli interessi di classe. Si reggeva su pilastri inossidabili di classismo e conservazione di usi e costumi: così come era impossibile che un attore cockney proveniente dalla working class potesse interpretare le alte cariche della nobiltà militare inglese, era altrettanto difficile trovare nei cinema e nel resto delle arti performative delle forme che andassero al di là delle buone convenzioni, descrivendo il presente delle persone di strada.
Era una guerra e i giovani per la prima volta erano in prima linea per dire al mondo intero che non avrebbero mai accettato lo status quo e allo stesso tempo non avrebbero lasciato il paese alle sue rigidità. E così si parla dei Beatles, dei Rolling Stones e Mick Jagger, degli Who e di Marianne Faithfull, che venne messa alla gogna per l'uso di droghe lisergiche, e della modella Twiggy che fu al centro di un grande exploit della fotografia modaiola che rese Londra la capitale dell'essere giovani (che peraltro al tempo risultava anche economica per uno spiantato!), trasgressivi e artistici. Le feste dove tutti i nuovi grandi si trovavano e incrociavano, l'inizio della controcultura MODS, l'avvento delle minigonne a Carnaby Street.
David Betty e il montatore Ben Hilton dividono in tre parti il racconto imbrattando lo schermo di forme in movimento che sporcano a mo' di dipinto contemporaneo le commoventi immagini di repertorio. Un montaggio iperattivo mirabile che riesce in modo straordinario a distanziarsi dall'estetica MTV che pur si sarebbe prestata alla materia. Il risultato finale è una delle migliori testimonianze di un periodo spesso sfuggente ma determinante nella trasformazione culturale dal secondo Novecento ad oggi. Caine infine dice che la giovinezza è uno stato mentale e non una questione anagrafica: messaggio didascalico che in parte banalizza il flusso di forme e movimenti che piacevolmente stordisce lo spettatore dall'inizio alla fine.
My Generation, oltre che il leggendario pezzo di un altrettanto leggendario album degli Who, era anche un altro documentario americano a firma Barbara Kopple che raccontava Woodstock '69 a paragone con le altre due edizioni ('94 e '99), inevitabilmente più commerciali e studiate. A testimonianza che quando si parla di generazioni si parla sempre del periodo a cavallo tra gli anni '60 e '70.
La giovinezza è uno stato mentale, che forse non esiste più da tempo. Perché essere giovani significa anche rischiare e i giovani di mezzo secolo fa non avevano paura di farlo, anche e soprattutto davanti ad un muro di classe e perbenismo oggi meno evidente di allora.
VP