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lunedì 25 dicembre 2017

Loveless (2017) by Andrey Zvyagintsev


Nelyubov (2017)
di Andrey Zvyagintsev

Maryana Spivak (Zhenya)
Aleksey Rozin (Boris)
Varvara Shmykova (Lena)
Matvey Novikov (Alyosha)
Daria Pisareva (Dasha)
Yanina Hope (girlfriend)
Aleksey Fateev (coordinator)
Andris Keiss (Anton)


Scene da un post-matrimonio in quel di Mosca, dove è il primogenito a soffrire le continue frecciate, gelide come la neve d'inverno, di entrambi i coniugi. Che non solo vogliono vendere la casa in un quartiere bene, ma si sono già rifatti le rispettive vite: lei con un facoltoso stempiato abitante di un loft perché in fondo "se hai i soldi e un'indipendenza non puoi essere un troglodita", lui con una biondina già messa in cinta (e già messa in guardia dalla madre vetusta, come d'altronde lo era l'altra consorte prima dello sposalizio) in procinto di ripetere la storia sentimentale infinita, soprattutto per mascherare lo scandalo del divorzio agli occhi del capo ultra-ortodosso che non vuole trasgressioni in azienda. Il bambino piange e scompare, forse nei dintorni all'albero del bosco in cui dopo scuola ama rifugiarsi. E parte la caccia.

Sguardi fissi sui cellulari e scroll continui di social network, un gioco di seduzioni che si fa violenza e corpi nudi che sono mezzi per sfuggire ad una società glaciale e basata ormai sull'individualismo estremo. Il regista di quel capolavoro che era Il Ritorno (Leone D'Oro a Venezia nel 2003), piazza strepitosi carrelli a iosa e gioca con la doppia immagine: la televisione alterna il trash e cronache della guerra in Ucraina, ragazze già ubriache molestano i soccorritori volontari, che per loro bontà non prenderanno un rublo. Lo stile dell'autore è enorme e virtuoso, filma i corpi in un binomio eros/thanatos che ricorda molto da vicino Crash di Cronenberg. Sevizia lo spettatore di cattiverie gratuite ed egoismi da far spavento, talvolta piazza la macchina da presa fuori le vetrate dando il via libera al voyeurismo ambiguo e al suono non diegetico.

La prima parte è perfetta, poi Zvyagintsev dà l'idea di aver già detto abbastanza e tutto. Nel vicolo cieco della narrazione delle ricerche del figlio, ciò che rimane è per l'appunto lo stile del regista, il fascino dolente del paesaggio e della fotografia plumbea, un'allegoria abbastanza plateale della mamma con la tuta della Russia che corre su un tapin roulant sotto la neve.


VP