Per chi ama la letteratura, scrivere racconti, essere cittadini del mondo e riflettere sulla Settima Arte

giovedì 30 novembre 2017

Detroit (2017) by Kathryn Bigelow


Detroit (2017)
di Kathryn Bigelow

John Boyega (Dismukes)
Will Poulter (Krauss)
Algee Smith (Larry)
Jacob Latimore (Fred)
Jason Mitchell (Carl)
Hannah Murray (Julie)
Jack Reynor (Demens)
Kaitlyn Dever (Karen)


Una giornata degli infuocati anni '60 americani: una soul band si prepara alla grande platea e forse ad un contratto con la mitica Motown, un operaio nero viene chiamato al doppio lavoro come guardia di un negozio e dei poliziotti bianchi si trovano invischiati in un po' di casini. Sembrerebbe tutto nella norma di una metropoli di un qualsiasi momento storico: peccato che Detroit nel '67 si trovi sull'orlo di una guerra civile, non così lontana dal Vietnam di cui molti sono reduci. I "negri" dal Sud confederato si erano spostati a Nord in cerca di diritti e un'industria che li rendesse operativi: hanno trovato un'imprenditoria bianca che ha preso i soldi dai centri e li ha portati fuori nelle periferie e nelle zone private. È la storia d'America: le downtown piene di degrado e le ville fuori città ben sorvegliate per i più facoltosi, generalmente bianchi. In una situazione del genere non può che scoppiare un rivolta, non può che accadere che in un motel ci si ritrovino tanti "negri" a festeggiare, mentre fuori i violenti saccheggiano negozi e rivendicano appartenenze, e uno di essi giochi con una pistola a stuzzicare rispettivamente polizia di stato e arma nazionale. Perché "essere neri è come avere una pistola contro" e "se non si danno dimostrazioni di forza le cose andranno sempre come vogliono loro", dicono i giovani agenti bianchi a cui parte letteralmente la brocca. Inizia la mattanza e chi ci finirà in mezzo sono due esponenti della band dei Dramatics (che al Motel Algiers avevano trovato rifugio dai disordini per strada) e due ragazzine bianche dell'Ohio arrivate per divertirsi senza pregiudizi.

Storia vera dei rapporti di forza alla base delle diseguaglianze americane. Mai così attuale nell'era di Donald Trump e il ritorno dei suprematismi in USA e in Europa e nella Detroit che ancora oggi, dopo l'abbandono della General Motors, contende a St. Louis la palma della città più violenta e degradata d'America. La Bigelow, che ormai è la Dea del cinema d'azione degli ultimi 30 anni, usa la macchina a mano con ritmo vertiginoso e senza mai dare l'idea di improvvisare. Tutto è estremamente curato e la camera, pur traballante, riesce a nascondersi tra gli angusti e claustrofobici spazi che descrive.

Un'opera potente, che non lascia mai spazio alle facili conclusioni, riporta al cinema di denuncia degli anni '70, quello dei Lumet e dei Coppola migliori.

Tutto però con sensibilità femminile, che non si ferma davanti alla crudeltà più eclatante. Il Motel Algiers diventa la Diaz del 2001 di Vicari, solo che la Bigelow non cade nelle trappole del genere e nella facile rappresentazione: rimane sempre ancorato al tema evitando anche le allegorie sul Bene e il Male a cui magari altri autori avrebbero attinto a piene mani.

Cinema classico nella sua forza propagandistica, di una moralità assoluta che evita sempre ogni demagogia. L'America ha il suo Salò.


VP