Blade Runner 2049 (2017)
di Denis Villeneuve
Ryan Gosling ('K')
Dave Bautista (Sapper Morton)
Robin Wright (Lieutenant Joshi)
Mark Arnold (interviewer)
Vilma Szécsi (angry old Lady)
Ana de Armas (Joi)
Wood Harris (Nandez)
David Dastmalchian (Coco)
Ogni civiltà è stata costruita sulle spalle di una manodopera sacrificabile: è l'unica grande realtà impressa nelle nostre coscienze soprattutto in questi tempi globalizzati. E lo è anche nella California del 2049, evoluzione della Los Angeles del 2019 impressa negli occhi dei replicanti che si aprivano alle luci degli spin e dei grattacieli con gli ideogrammi cinesi e le pubblicità assordanti sotto il ticchettio della pioggia che non lasciava scampo. Ovvero come i nostri anni '80 immaginavano il futuro. Oggi la realtà non lascia più spazio all'immaginazione e allora si torna indietro: ripensare il mondo, la moda e la visione di tre decadi fa, come se nel frattempo le ideologie non fossero morte, come se il Mercato non ci avesse succhiato ogni forma di resistenza vitale, un viaggio extra-mondo delle coscienze che ci apriva le porte alla poesia.
Appunto, non c'è più poesia e non solo perché Vangelis sia stato rimpiazzato da Hans Zimmer e il regista di Alien da quello di Arrival. Non c'è poesia perché non c'è più la speranza di una lotta, il vero senso del Romanticismo. E a tal proposito Denis Villeneuve, che obiettivamente non è 'sto gran regista, fa la scelta più felice che si possa fare: puntare esattamente sulla mancanza di poetica, in un mondo che ha scelto la prosa e il racconto senza punte di entusiasmo emozionale. A meno che l'emozione non sia ambigua come la performance di un ologramma di Elvis in pedana o di Frank Sinatra su un jukebox d'altri tempi... o come una riproduzione fedelissima di Rachel, di nuovo in vestito scuro sbrilluccicante e con le spalline dell'Era di Miami Vice: quando appare da una scala ci viene letteralmente un colpo, un momento di Cinema maiuscolo e stordente. Le repliche di cose amate per tanto, troppo tempo, una melodia al pianoforte che non sarà più suonata né ricordata.
Intanto un mazzo di fiorellini nasconde barlumi di lotta, gli ultimi sforzi di chi ancora assapora l'odore dell'aglio nel mondo arido e piatto di un'umanità e una replicanza che non si stupiscono più di stare come api negli alveari illuminati dai neon. Un nuovo blade runner che vive solo (ma che novità!)... anzi no, con un ologramma gentilmente offerto dalla nuova multinazionale delle emozioni. Femminilità inconsistente su misura di ogni esigenza e sensibilità; un'intraprendente lottatrice della seduzione riesce ad entrare e si sovrappone all'ologramma diventando ancora qualcosa di diverso, altra scena sublime e che farà la Storia.
Non c'è la voce off da noir anni '40 della versione di Blade Runner voluta dalla produzione: quella con l'inizio di Shining come finale (proprio stessa scena, stessa pellicola) e Deckard e Rachel che fuggivano verso il sole. Oggi, tornando agli anni '80 che guardavano avanti, il sole potrebbe anche esserci, ma è completamente coperto dalle scorie di una globalizzazione e di un mondo che ci ha fregato, che rendono le vite, vere o ricreate che siano, ai limiti del vivibile.
Tutto sommato non è così tanto Fantascienza.
VP