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martedì 21 giugno 2016

La Grande Abbuffata (1973) by Marco Ferreri


La Grande Bouffe (1973)
di Marco Ferreri

Marcello Mastroianni (Marcello)
Michel Piccoli (Michel)
Philippe Noiret (Philippe)
Ugo Tognazzi (Ugo)
Andréa Ferréol (Andréa)
Solange Blondeau (Danielle)
Florence Giorgetti (Anne)
Michèle Alexandre (Nicole)


Un arrivederci a una donna di casa (in realtà una balia) preoccupata degli sfizi che ostacolano una carriera. Un arrivederci che in realtà è un addio. Perché il magistrato Philippe (Noiret) ha deciso, con altri tre esponenti della borghesia europea, di rinchiudersi in una vecchia villa dei dintorni di Parigi per una degustazione culinaria che lo porterà dritto al termine dei suoi giorni. Non sarà la passione per i motori e una vecchia Bugatti abbandonata a salvare il sex addicted Marcello (Mastroianni), pilota dell'Alitalia, né l'arte di chef incompreso del malinconico Ugo (Tognazzi) potrà fare altrimenti. Il primo ad ammalarsi sarà il produttore televisivo Michel (Piccoli). Intanto a soddisfare ancora il bisogno di carne arrivano le belle donne di malaffare, nonché la maestra di una scolaresca dalle forme generose che rappresenterà più di un oggetto sessuale: la balia da sposare per Philippe, ma anche una mamma al capezzale di ognuno, tenera e comprensiva fino all'ultimo.

Opera dissacrante presentata a Cannes nel '73 (premio FIPRESCI), frutto del gusto provocatorio di uno straordinario regista che ha affondato la sua poetica nel grottesco e nella critica feroce. Un girone infernale di cibo e sesso in cui la narrazione procede per addizione di scene e particolari nauseanti (con peti e flatulenze in libertà): lo spettatore si ritrova accerchiato dai personaggi, che si muovono nello spazio chiuso di un'abitazione con sapiente maestria, finendo per condividere lo spirito distruttivo del "se non mangi, non muori". Stomaco e colon rumoreggiano.

Della filmografia di Ferreri (La Donna Scimmia, Marcia Nuziale, Nitrato D'Argento) è un film centrale nella sua dimensione festivaliera ed edonisticamente scandalosa ma piuttosto inferiore alle opere sopracitate. Per quanto ci siano rimandi a Klimt (i cuscini e le lenzuola dorate dentro cui le donne sprofondano negli atti di piacere) e un senso dell'estremo da cui anche Pasolini attingerà per Salò (1975), l'elemento cardine del film è la sua capacità di osare anche in relazione alla censura dell'epoca. Censura che se la dovette vedere col più brillante firmamento europeo di interpreti maschili, pienamente in parte e partecipi allo spirito dell'opera.

Cinema anni '70 in cui le trasgressioni d'autore pizzicavano l'establishment, che ancora era classe sociale in attesa di plasmarsi nell'individualismo del Terzo Millennio che rende tutto lecito e superato.


VP