Ai posteri l'ardua sentenza.
Mad Max - Fury Road (2015)
di George Miller
Tom Hardy (Max Rockatansky)
Charlize Theron (Imperator Furiosa)
Nicholas Hoult (Nux)
Hugh Keays-Byrne (Immortan Joe)
Josh Helman (Slit)
Nathan Jones (Rictus Erectus)
Zoë Kravitz (Toast the Knowing)
Rosie Huntington-Whiteley (The Splendid Angharad)
Mad Max non ha più la faccia e il corpo di Mel Gibson e a momenti non ha neanche più il suo nome. Il deserto è sempre quello australiano convertito al post-apocalittico e anche il regista sarebbe lo stesso dei vari Interceptor, ma il ritmo del film non più quello irregolarmente compassato da b-movie anni '80. Il nuovo Mad Max parte letteralmente a rotta di collo e si mantiene su tacche di chilometri orari inaudite tanto da diventare un prodotto dove il fracasso barocco incontra il gusto del feticismo kitsch: maschere appuntite, cinture di castità futuristiche, corpetti di plastica per alleviare piaghe da decubito, spray da applicare in bocca. Tutto usato per addizione, per gusto del dettaglio che (non) fa la differenza.
Gli scoppi, i fuochi, hanno il colore rosso del fumetto dipinto ad olio, un'immagine pulita pulita, troppo pulita per un'umanità al capolinea. Non c'è traccia di polvere, di fumo dei camion che inquina un'aria già malsana di suo. Miller non esprime più il malessere dei suoi film precedenti (e calcolando che il terzo campitolo Oltre la Sfera Del Tuono, quello americano con Tina Turner, era lentissimo tutto ciò è sorprendentemente avvilente) ma annienta completamente storia, personaggi e ambientazione per dirigere una sinfonia metal che si fa beffe di ogni convenzione cinematografica e vede nei prodigiosi stuntmen i suoi ballerini. Si rifà smaccatamente a Children Of Men per la tematica della natalità (sfruttata di un male!) e prende in prestito da Dune di Lynch il Barone Vladimir Harkonnen, più qualche fantasma che stava tanto bene su Marte con John Carpenter.
Capolinea dell'umanità o del cinema d'intrattenimento?
VP