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lunedì 13 luglio 2015

Jesus Christ Vampire Hunter (2001) by Lee Demarbre

E fu il giorno che il trash di serie Z fece capolino su questo blog e proprio in quanto trash non può essere mai catalogato nei film preferiti stroncati. In linea di massima sarebbe buona cosa che creassi una sezione (S)CULT apposita, ma mi rendo conto che ciò necessiterebbe di approfondite analisi e di sezioni ancora poco esplorate e povere questo blog già abbonda di suo. Mi limito a inserire questo film canadese tra i CULTS, in compagnia di colleghi ben più autorevoli.

Buona lettura.



Jesus Christ Vampire Hunter (2001)
di Lee Demarbre

Phil Caracas (Jesus Christ Vampire Hunter)
Maurielle Varhelyi (Maxine Shreck)
Maria Moulton (Mary Magnum)
Tim Devries (Father Eustace)
Ian Driscoll (Johnny Golgota)
Josh Grace (Dr. Praetorious)
Tracy Lance (Gloria Oddbottom)
Glen Jones (Father Alban)


È datato 2001 ma ha l'estetica di una robaccia semi-amatoriale tra metà anni '60 e inizi anni '80 ovvero quando le produzioni (soprattutto italiane) si stratificavano seguendo le scie di filmoni più illustri. Se Lo Squalo di Spielberg aveva successo, eccoti il Joe D'Amato nostrano che tirava fuori dalla penuria di mezzi un pesce carnivoro all'amatriciana di violenza pari o superiore. Poi si firmava con nome anglofono e così anche gli interpreti romanacci o africani che di anglosassone avevano poco o niente. Il pubblico non si faceva troppi problemi.

Meccanismi produttivi che la Storia ha innalzato ai livelli di culto, una meschinità industriale che il tempo ha circondato di una mitologia a suo modo poetica. Tutte cose estranee ad un prodotto decisamente fuori tempo di quel Canada ricco e pulito, macchina statale quasi perfetta che genera metastasi da espellere in forme sgradevoli. La patria di Russ Meyer e anche di Cronenberg: da lì viene persino la "delicatissima" saga Porky's.

Qui il territorio è decisamente blasfemo: Gesù Cristo torna sulla Terra per liberarla dalla ferocia di vampiresse che si proteggono dai raggi solari grazie al supporto di pelle estratta di donne lesbo. Ad aiutarlo ci sono personaggi come il wrestler messicano Santos, un anfibio umano dei pesi massimi, che tra pali di legno conficcati e corde spezzate coi denti danno il tono al film.

Il problema non è il trash in sé ma la stanchezza del non trovare nulla oltre l'idea di base. Col passare dei minuti il film non aggiorna la curiosità dello spettatore perché non riesce ad arrivare al di là dell'immaginazione dello stesso.

È il vero limite (quasi mai superato) di questo genere di prodotti: che si lasciano guardare così, senza un sorriso in più o qualche grido di stupore.


VP