Per chi ama la letteratura, scrivere racconti, essere cittadini del mondo e riflettere sulla Settima Arte

venerdì 24 aprile 2015

Il Cavallo Di Torino (2011) by Béla Tarr


A Torinói Ló (2011)
di Béla Tarr

János Derzsi (Ohlsdorfer)
Erika Bók (Ohlsdorfer's daughter)
Mihály Kormos (Bernhard)
Lajos Kovács (Bernhard's voice)
Ricsi (the horse)
Mihály Ráday (narrator)


Il cavallo di Torino è quello che emozionò Nietzsche il 3 gennaio del 1889. Il filosofo da quel giorno impazzì, invece il cavallo riprese il cammino con il cocchiere che lo maltrattava. Nell'ultimo film di Béla Tarr, l'animale, reduce dall'abbraccio del filosofo, viene costretto ad affrontare una bufera per raggiungere la casa desolata dove il cocchiere vive con sua figlia. Un luogo intimo e lontano dalla società, dove i due personaggi (e il cavallo che ormai si rifiuta anche di mangiare) si rifugiano per proteggersi dalle intemperie esterne, dall'umanità che si palesa sotto forma prima di un ubriaco oratore (del pensiero di Nietzsche), poi di un gruppo di zingari che depreda il pozzo di casa in cambio di un libro.

Presto gli elementi della natura (l'aria con la bufera, l'acqua del pozzo e la vodka, il fuoco delle lampade, la terra, la legna) vengono a mancare; il mondo si corrompe come l'ubriaco di vodka prediceva e forse padre e figlia moriranno (insieme al cavallo nella stalla che forse rifiuta la vita) come urlavano gli tzigani prima di andarsene per la loro strada. È il mondo che tende all'uomo una trappola mortale o è l'uomo che corrompe il mondo che a sua volta gli si ritorce contro?

Film rigoroso, austero, introspettivo, chiuso in un interno dove la macchina da presa si muove con lenta fluidità. Il regista si concede silenzi, tempi dilatati se non addirittura morti. Pone il dilemma filosofico come meglio il cinema non potrebbe fare: l'arte del pensiero è di per sé anti-visiva, questo è il modo più esatto per esaltarne il non detto che aleggia il senso di una riflessione.

Cinema che riporta a Dreyer e Bergman o più semplicemente porta a Béla Tarr: regista del Novecento che dal Novecento non vuole uscire. Il suo capolavoro assoluto era Sátántango, altra parabola filosofica ambientata nella pianura ungherese. Un autore contro tutte le logiche dell'intrattenimento, alla perenne ricerca (nella sua non ricchissima filmografia) di un cinema ideale.


VP