Exodus: God and Kings (2014)
di Ridley Scott
Christian Bale (Moses)
Joel Edgerton (Ramses)
John Turturro (Seti)
Aaron Paul (Joshua)
Maria Valverde (Zipporah)
Sigourney Weaver (Tuya)
Ben Kingsley (Nun)
Hiam Abbass (Bithia)
Gli schiavi ebrei hanno costruito le Piramidi e questo già basterebbe ad incarognire il mondo arabo, se poi ci mettiamo l'apologia del popolo eletto da Dio ecco che l'Egitto (quello di oggi) bandisce il nuovo film di Ridley Scott. L'accusa principale è quella di aver usato attori di etnia anglosassone: tanto rumore per nulla. Anche perché la censura araba funge in Occidente da mossa di marketing, con strizzata d'occhio al pubblico di fede ebraica che negli USA (e non solo) è sempre corposo nonché influente in sede di Oscar. Quasi verrebbe da pensar male, ovvero d'azione progettata a tavolino, ma in questo caso, come ormai un po' troppe volte, è inutile e noioso.
Exodus è il classico viaggio dell'eroe che segue il più scontato dei canovacci; ha l'attinenza filologica e storiografica di un Troy (ovvero zero spaccato), si avvolge nei suoi archetipi campbelliani con incidenti scatenanti, punti di svolta e mentori, fisici e immaginari, naturali e soprannaturali, per raffigurare una pagina importante dell'Antico Testamento come il confronto tra fratelli (che tali non sono) con in primo piano il ruolo della paternità, tra un Faraone costretto dall'etichetta della tradizione ad affidare il trono al figlio megalomane e un po' incapace e quest'ultimo che giura al suo piccolo successore amore eterno, quello che non ha mai avuto.
Cinema che moltiplica guerrieri, cavalli, eserciti, topi, rospi, piaghe. Affida alla computer grafica il compito d'insanguinare le acque del Mar Rosso e a Christian Bale e agli occhi spiritati e riverenti di Ben Kingsley quello di rendere l'epica credibile e intramontabile. Ma per quello forse sarebbe servita una regia che prendesse scelte ardite, che s'abbandonasse completamente alla polvere e alla pesantezza della Storia. Tra ancora 100 anni di questo genere avventuroso, a dispetto dal quantitativo che Hollywood sforna a ripetizione, si ricorderanno sempre Lawrence D'Arabia (1962), il Mahabharata (1989) e Addio Al Re (sempre '89): certo far girare un film su Moses a John Milius è roba rischiosa, lo comprendiamo.
Meglio assecondare gusti e coscienze di un pubblico mainstream, che magari un giorno penserà che la separazione delle acque del Mar Mosso in realtà era uno tsunami a cui un corpo umano poteva resistere e sopravvivere. Il film lo dice...
VP