Il Giovane Favoloso (2014)
di Mario Martone
Elio Germano (Giacomo Leopardi)
Michele Riondino (Antonio Ranieri)
Massimo Popolizio (Monaldo Leopardi)
Anna Mouglalis (Fanny Targioni-Tozzetti)
Valerio Binasco (Pietro Giordani)
Raffaella Giordano (Adelaide Antici Leopardi)
Edoardo Natoli (Carlo Leopardi)
Isabella Ragonese (Paolina Leopardi)
Compito ai limiti del possibile: portare su schermo vita, sofferenze, tormenti, malinconia del massimo poeta italiano del XIX secolo. Che con quella gobba mitizzata dalla storia della letteratura rischia di finir vittima della sua drammatica e patetica particolarità; un personaggio schivo, cupo, introverso, complicatissimo da decifrare nelle sue componenti fisiche e comportamentali. Un freak del verso stilisticamente eccelso, ma triste, che solo un grande regista come Martone, dalla fine sensibilità e grande senso della Storia, poteva affrontare.
Dopo l'Unità e i suoi moti il regista campano scende di nuovo nel mito dell'800 italiano, che ormai è il suo territorio, e per tutta la prima parte del film riesce sorprendentemente a restituire la gabbia di Recanati, gli studi infiniti, l'ermo colle, le ambizioni ecclesiastiche che il padre Monaldo ha in serbo per il suo primogenito Giacomo; che coltiva sentimenti morbosi per fratello e sorella, s'infatua della figlia del cocchiere che spia dalla finestra di studio (Teresa Fattorini, la musa ispiratrice di A Silvia) e che poi muore di tubercolosi, si ribella alla mentalità rigida e reazionaria dei genitori scambiando una serie di corrispondenze col classicista Pietro Giordani che lo inizia ai piaceri della libertà.
Poi arriva Firenze, l'amicizia intima con Antonio Ranieri, gli spettacoli teatrali, i salotti intellettuali, le critiche, le curiosità con l'altro sesso mai esaudite, i problemi finanziari: è a questo punto che il film perde il contatto con la voce del poeta, quando le ricostruzioni d'ambiente e della Storia prendono il sopravvento. E Il Giovane Favoloso imbocca la via del biopic classico e didascalico, senza portare avanti la soggettività del poeta e del rapporto del regista con esso di pari passo con l'oggettivo (come Milos Forman faceva magistralmente in Amadeus ad esempio), preoccupato, una volta reso il protagonista credibile, a seguire i dettagli di quell'Italia che nella prima metà del secolo ancora "s'ha da fare". La terza parte a Roma e a Napoli, quando il corpo di Giacomo si dimena ancor di più, nelle strade impazza il colera e il Vesuvio erutta, è pura epica storica. Lo sguardo di Leopardi non è più mostrato o intuito ma relegato all'impeccabile dote interpretativa di Elio Germano.
Storia e prosa possono (e devono) essere tradotte in immagini. Per la poesia scritta... ci vuole l'impresa. A Martone è riuscita a metà.
VP