Per chi ama la letteratura, scrivere racconti, essere cittadini del mondo e riflettere sulla Settima Arte

mercoledì 28 settembre 2016

I Magnifici 7 (2016) by Antoine Fuqua


The Magnificent 7
di Antoine Fuqua

Denzel Washington (Chisolm)
Chris Pratt (Josh Faraday)
Ethan Hawke (Goodnight Robicheaux)
Vincent D'Onofrio (Jack Horne)
Byung-hun Lee (Billy Rocks)
Manuel Garcia-Rulfo (Vasquez)
Martin Sensmeier (Red Harvest)
Haley Bennett (Emma Cullen)


Non è più la frontiera col Messico e i contadini non sono neanche messicani, ma yankee esattamente come il banchiere tiranno, che saccheggia le riserve per rimpinguare i forzieri e si fa largo in Chiesa per mettere ben in chiaro le cose: questo paese ha identificato la democrazia con il capitalismo e quest'ultimo è regolato secondo le leggi di Dio. Solo una giovane vedova ha le palle per cambiare la situazione: sacrificare tutto per garantirsi i magnifici sette. Che non hanno né il carattere di Yul Brynner, né la mitica ironia di Steve McQueen, né il broncio tataro di Charles Bronson. Ma sono un nero cacciatore di taglie per le federazioni, un ex sudista, un muso giallo protetto da quest'ultimo, un messicano, un prestigiatore di carte, un pistolero grassoccio e addirittura un comancho che parla la lingua dei bianchi ma ne schifa i fagioli. Ovvero il branco multirazziale. La crescita di un cowboy giovane e immaturo non è più roba di questi tempi: ci sono solo oppressori e oppressi, una ricchezza di cui neanche vediamo la fisicità ma che regola tutti i rapporti insieme alle pistole e i fucili, i cui rinculi rimbombano in tutti gli angoli di un west post-crepuscolare: il sole che irradiava il Panavision del 1960 non c'è più.

Le scelte di Antoine Fuqua per riportare un must commerciale di più di 50 anni fa sono tutte corrette e al passo coi tempi. Traducono i temi dell'attualità economica del XXI secolo negli archetipi narrativi e dei caratteri del genere nobile del cinema americano. I Sette Samurai di Kurosawa (di cui il primo The Magnificent Seven era il remake) è ormai lontanissimo così come ogni forma di autorialità. Ma Fuqua del film di Sturges del '60 riprende anche le lacune: le motivazioni dei personaggi sono deboli rispetto agli sviluppi della trama. Il più completo è quello di Haley Bennett, l'idealismo di fondo dei maschi, a cui non riusciamo a credere del tutto, vola su una voragine di scrittura arrivando alla fine a malapena. Lo spettacolo è divertente e rumoroso. Certo però che Antoine Fuqua non è Clint Eastwood, così come Sturges non era Ford.

Il leone della MGM (oggi proprietà della Sony) perdonerà.


VP