Per chi ama la letteratura, scrivere racconti, essere cittadini del mondo e riflettere sulla Settima Arte

domenica 10 luglio 2016

Viridiana (1961) by Luis Buñuel


Viridiana (1961)
di Luis Buñuel

Silvia Pinal (Viridiana)
Francisco Rabal (Jorge)
Fernando Rey (Don Jaime)
José Calvo (Don Amalio)
Margarita Lozano (Ramona)
José Manuel Martín (El Cojo)
Victoria Zinny (Lucia)
Luis Heredia (Manuel 'El Poca')


È bionda, appariscente e casta: un gruppo di suore le passa accanto mentre la Madre Superiora impartisce le ultime raccomandazioni prima del Voto. Nel frattempo passerà del tempo nella villa ricchissima di un austero zio vedovo, che rivede in lei la moglie perduta; la corteggia e le chiede espressamente di svestirsi degli abiti e dei simboli religiosi per indossare quello della sposa che fu. Lei s'incolpa, sfugge il peccato e i suoi tentacoli amorosi, le sue bugie (essere stata violentata nel sonno), riparte in carrozza di fretta e furia ma alla stazione dei treni è obbligata a tornare: lo zio si è suicidato e c'è da dividere un'eredità col giovane e piacente cugino, di costumi assai più liberi. La Madre Superiora la visita per sincerarsi delle intenzioni, lei temporeggia, non si sente più in grado di affrontare il Voto; per tornare al lindore s'impegna a usare parte della ricca tenuta come rifugio per senzatetto e poveri malati, che in barba alle dottrine, alla morale cattolica e allo spirito umanitario, si fanno per l'appunto la guerra tra loro. Ma quando c'è da approfittarsene fanno fronte comune: i cugini sono fuori, la villa è libera con tutte le sue gioie. Allora è il tempo della grande festa degli esclusi, rumorosa, anarchica, violenta: "guardate quanto siamo brava gente!". La lezione finale non contempla alcuna salvezza, alcuno sforzo ripagato: ci si scioglie i capelli, ci si guarda belle e si accetta una partita a carte, che è il gioco della vita in questa terra di peccatori.

Meraviglioso film del grande genio iconoclasta spagnolo ancora in esilio in Messico: un film senza speranze, che prende atto della crudeltà del mondo e vi si abbandona nel piacere edonistico della deformazione. Gioca con tutti i simboli della cultura cattolica, mette in scena una lotta di classe e di educazione impossibile da fermare, dà il via libera alle pulsioni viscerali di un'umanità naturalmente egoista e meschina.

L'uso di una corda per saltare come oggetto dei punti di svolta (ci si impicca lo zio, ci si lega la vita un barbone che poi la agita come arma) e un certo studio dell'inquadratura (lo zio che scruta dall'alto la bambina che salta) e delle luci (il fascio che investe la protagonista a testimoniarne ancora la purezza in barba alle bugie) sono testimonianze della grandezza di un regista che meglio di altri colleghi ha vissuto le diverse ere del cinema novecentesco, dal muto (così presente nel film) al sonoro, al colore.


VP