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sabato 21 maggio 2016

Al Di Là Delle Montagne (2015) by Zhangke Jia


Shan He Gu Ren (2015)
di Zhangke Jia

Tao Zhao (Shen Tao)
Yi Zhang (Zhang Jinsheng)
Jing Dong Liang (Liang Jangjung)
Zijian Dong (Zhang Daole)
Sylvia Chang (Mia)
Patrick Harvey (train passenger)
Anna Sasson (travel clerk)
Yee Yang (travel clerk)


Lui, lei e l'altro, tutti amici, intelligenti e giovanissimi. Lui lavora nelle miniere ed è sorridente, di una bellezza maschile semplice e intrigante, lei vende apparecchi elettronici e prepara involtini fantastici, l'altro è un rampante figlio della nuova élite cinese, che vuole dominare, possedere, anche il cuore delle fanciulle. Da ciò lo scontro: i maschi si fronteggiano, lei sembra dapprima prendere le parti dell'umile minatore, poi capisce che un buon partito s'incontra una volta sola. Il matrimonio è benedetto anche dal Dio del capitale. Ma il minatore non ci sta e dal paesello con le lanterne rosse e le case fatiscenti se ne va. Ricomincia una nuova vita, mentre i due piccioncini della Cina, prima industria mondiale, prendono il volo da cui nasce un bambino a cui il padre promette tanti, tanti dollaroni per una vita agiata da Re. Peccato che molti anni dopo ritroviamo i due divorziati, con un bambino quasi adolescente che viene educato lontano dalla madre in un istituto privato internazionale e pronto a prendere l'aereo per l'Australia, la sua nuova vita lontano dalle radici. La mamma non può far altro che intascare i soldi del mantenimento dal ricchissimo ex marito e regalare telefoni costosi ai nuovi amici sposi, nonché aiutare una vecchia conoscenza che è ora in grave pericolo. Sì, perché il minatore (che lontano da casa si è creato una famiglia assai più umile) è afflitto da un problema polmonare e non ha i soldi per curarsi a Shanghai. Il gentile gesto ripagherà tutta la rabbia del passato.

Fin qui sembrerebbe un melodrammone di quelli che negli anni '50 in America venivano girati da Douglas Sirk e che ora continuano ad apprezzare ad Oriente, soprattutto nella superpotenza con gli occhi a mandorla. Un gran bel melodramma, che alterna scene fotografate magistralmente sullo sfondo di Pagode e inserti amatoriali in presa diretta, che si permette anche di posticipare i titoli di testa a quasi un terzo del film, in un mix asciutto e ritmato che funziona a meraviglia.

Poi però, quando lo spettatore si aspetterebbe nuove evoluzioni dei personaggi principali, il film prende una svolta bizzarra e del tutto inaspettata: si concentra sulla vita in Australia del figlio della nuova Cina benestante. Un figlio che ha dimenticato il nome della madre, che parla solo inglese e si serve del traduttore dei futuri smartphone trasparenti per comunicare con un padre folle che colleziona pistole e si lamenta che nella terra dei canguri non ci sia tanta gente a cui sparare. Inizia una relazione con un'insegnante cinese, anche lei vittima delle contraddizioni sentimentali e culturali della diaspora.

Se l'obiettivo del regista di Still Life era quello di analizzare e prevedere le conseguenze del Capitalismo in una società che faceva fino a poco tempo fa dell'omogeneità e della coesione (anche forzata) un valore, il risultato è senza dubbio positivo. A scapito però della forma del racconto, che è irregolare, allungata, disarticolata e mancante di tasselli fondamentali per un film del genere. Pecca di simbolismi grossolani che rovinano le sfumature dei personaggi e la delicatezza dell'argomento.

A furia di ballare in gruppo Go West una nazione sta perdendo identità: speriamo non si perda anche lo stile di un regista che finora ci aveva pienamente convinto.


VP