Le Diable Prbablement... (1977)
di Robert Bresson
Antoine Monnier (Charles)
Tina Irissari (Alberte)
Henri de Maublanc (Michel)
Laetitia Carcano (Edwige)
Nicolas Deguy (Valentin)
Régis Hanrion (Dr. Mime)
Geoffroy Gaussen (Libraire)
Roger Honorat (Commissaire)
Così parlò un giovane suicida prima di compiere il fattaccio. Personalità forte, decisa, manichea, rispondente a una moralità ferrea mascherata da Nichilismo. Tutt'intorno scorre il quotidiano di un genere umano amorfo, racchiuso in compartimenti stagni, in etichette date dall'appartenenza politica, dalla religione, dal lavoro nell'industria culturale, dalla professione psichiatrica e dai sentimenti di coppia e d'amicizia; infatti il giovane se la prende rispettivamente coi collettivi studenteschi (nella Francia militante degli anni '70), con cattolici e protestanti in perenne disaccordo tra loro, con un opportunista libraio di controcultura, con uno psichiatra banale, con amici ed amanti che lo trattano come lo stupido personaggio di una sitcom. L'unica persona con cui intraprendere un percorso di morte (ma forse anche di consapevolezza) non è altri che un tossico appartenente ad una gioventù bruciata che si ritrova seduta a terra (e con una pistola in borsa) ad aspettare la fine del mondo. Una fine che ci sarà, tra inquinamento, fanghi rossi, tumori: l'unica strada saggia è accelerare il processo di autodistruzione. E non importano i pensieri (che non sono sublimi neanche davanti alla gravità della fine).
Opera minore nella filmografia di uno dei grandissimi esponenti del cinema d'arte mondiale. Intrappola lo spettatore in un universo ingessato, dove le geometrie ostentate degli elementi dritti e diagonali (tra cui le porte degli autobus, degli ascensori, gli attraversamenti pedonali studiati in sintonia con l'inquadratura e che torneranno anche 6 anni più tardi ne L'Argent) e la tipica recitazione sottotono e insensibile (marchio di fabbrica del regista) aggrediscono lo sguardo in una dimensione insopportabilmente arida. Anche le scene all'aperto non si salvano dalla claustrofobia.
La perdita di qualsiasi speranza nei confronti della politica e di ogni forma di sostegno etico è la via per il baratro, ma anche per la conoscenza: Bresson scava nelle responsabilità umane e nell'ipocrisia della società (che inquina per profitto) per tracciare una tesi secondo cui solo l'annullamento può portare un equilibrio.
Opera dura, estrema, potente. Opera minore, ma pur sempre un capolavoro. Soprattutto col senno di poi.
VP