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martedì 8 marzo 2016

Gangster Story (1967) by Arthur Penn


Bonnie and Clyde (1967)
di Arthur Penn

Warren Beatty (Clyde Barrow)
Faye Dunaway (Bonnie Parker)
Michael J. Pollard (C.W. Moss)
Gene Hackman (Buck Barrow)
Estelle Parsons (Blanche)
Denver Pyle (Frank Hamer)
Dub Taylor (Ivan Moss)


Lei è annoiata dalla vita e desidera qualcosa che neanche è in grado di decifrare. Lui le sa dare qualche risposta e la trascina on the road per un'epopea criminali di furti, sequestri, lettere ai giornali e foto. Un amore dirompente che trova i suoi punti deboli nelle mancanze affettive materne da parte di lei e in un'impotenza appena accennata da parte di lui.

Sono Bonnie e Clyde, la vera coppia criminale che ha imperversato negli USA durante la prima metà degli anni '30. Arthur Penn, che prima di questo film aveva già girato Anna Dei Miracoli (1962), la riveste di estetica figlia della lezione delle nouvelle vague europee (e non è un caso che per la sceneggiatura inizialmente vennero chiamati sia Truffault che Godard).

In questo modo Bonnie e Clyde risultano spiritualmente e non solo più moderni e puri di tutta l'umanità bigotta e soddisfatta della propria mediocrità che li circonda: due figli dei fiori nei puritanissimi e polverosi stati del sud degli anni '30 (Oklahoma e Texas), costretti a fuggire dalla legge e dalle ipocrisie locali che nascondono infinite trappole. Antieroi di una contro-cultura americana all'alba del '68: uno dei primi film che riserva a due banditi non solo la fascinazione della cattività tipica dei gangster movie (Scarface di Hawks per fare un esempio), ma soprattutto uno studio psicologico e motivazionale che porta il piano morale dello spettatore a confrontarsi con l'orrore del mondo circostante.

La grande forza del film è nel ritmo: anche quando i due protagonisti stazionano in un luogo, la sensazione di costante movimento non cessa di avvolgere. La sceneggiatura procede per episodi frammentari collegati da inseguimenti: pur lavorando di addizione (di situazioni, di personaggi, di sketch comici e parti drammatiche), essa non appesantisce mai la narrazione, che risulta agile e profonda, brillante come il timbro oro che caratterizza la fotografia.

Un capolavoro del morire giovani e della libertà che forse è solo utopia.


VP