Alle 20 e 40 di ieri era in programma la finale di Coppa Italia (o meglio dire Tim Cup, altrimenti i vertici s'infuriano e il telefonino mi viene manomesso dalla compagnia che pago mensilmente) tra Fiorentina e Napoli: alle 21 e 45 passate le squadre ancora non erano entrate in campo. Nessuna alluvione né impraticabilità del campo, bensì i soliti disordini sulla via dello stadio, partendo da Ultras fiorentini che attaccano un Napoli Club Bologna a una stazione di servizio, passando per una serie di scontri al Ponte della Musica per finire con un signore titolare di uno chiosco, tale "Gastone", che tira fuori una pistola davanti ai sostenitori partenopei che passano per Tor Di Quinto mandandone uno all'ospedale in codice rosso.
Chiaramente una volta all'interno dell'impianto c'è il via vai di voci che si rincorrono, tra morti, Ultras romanisti che sarebbero i veri responsabili, una stampa che blatera per qualche visualizzazione in più, tifosi inferociti soprattutto nella Curva Nord occupata dai tifosi napoletani. Proprio quest'ultimi minacciano di non far giocare la partita, portando la manifestazione ad un punto di non ritorno difficile da gestire per le forze dell'ordine: c'è bisogno che qualcuno calmi la situazione, ovvero un idolo milionario del tifo (Marek Hamsik) che con il Direttore Sportivo (Bigon) va sotto l'infuocato settore che nel frattempo spara bomboni e lancia fumoni addosso a vigili del fuoco e fotografi, perché la stampa e la Digos "sono infami", per farsi ricevere da un capopopolo seduto sulla vetrata che poi si scoprirà tale Genny 'a Carogna. Quest'ultimo si presenta pieno di tatuaggi su entrambe le braccia e con una maglietta con scritto da un lato Ultras Liberi e dall'altro Speziale Libero, ovvero un messaggio di solidarietà a colui che si beccò una condanna definitiva per l'omicidio Raciti in un derby siciliano finito in tragedia. Scopriremo poi che trattasi del figlio di un affiliato della Camorra e fa davvero sorridere in Tribuna ci fossero praticamente le cariche dello Stato al gran completo.
Dall'alto della sua saggezza Genny 'a Carogna dice sì, si può giocare assicurando la tranquillità sugli spalti, le squadre entrano in campo, il Napoli vince per 3 a 1 e si aggiudica il trofeo, il povero Ciro Esposito, la vittima dello sparo, finisce all'ospedale Villa San Pietro e il giorno successivo il romano "Gastone" viene fermato.
No, non è Alice In Wonderland, né una fiaba di Willy Wonka e neanche una storiella della Banda Bassotti di un numero di Topolino. È l'Italia del 2014: un paese ridicolo, sul perenne baratro della povertà, in cui il degrado materiale si abbina a uno umano in cui nessuno, e sottolineo nessuno, si salva. Da Renzi in Tribuna a Cerqueti in telecronaca a Genny 'a Carogna in Curva l'italianità istituzionale e nazionalpopolare ha le forme grottesche di un film di David Lynch proiettato al Bagaglino: una cosa troppo risibile se non fosse vera.
Ora io non ero allo stadio e non posso sapere con certezza come le cose siano andate, soprattutto per quanto concerne il fatto di Tor Di Quinto: cos'avranno mai fatto Ciro Esposito e i suoi compari per meritare lo sparo di "Gastone"? Questo è il dilemma e nei prossimi giorni la magistratura dovrà lavorare sulla ricostruzione degli eventi, possibilmente attenendosi alla realtà e senza pressioni da parte di nessuno (e stando in Italia non è così scontato) e la stampa avrà il dovere d'informarci senza la falsa retorica che ogni volta viene spolverata all'occasione.
Però Fiorentina - Napoli ha molto in comune con un altro evento di cui invece posso parlare con dovizia di causa in quanto ero proprio lì in mezzo: il cosiddetto derby del bimbo morto, il Lazio - Roma del 21 marzo 2004. Ricordo tutto come se fosse ieri, avevo 20 anni e avevo messo da parte i soldi di mio nonno da dare a qualche "generoso" bagarino per un biglietto di Curva Sud. All'epoca, quando mi recavo nel settore più infuocato del tifo giallorosso, usavo posizionarmi rigorosamente in piedi immediatamente al termine della scalinata, in parole povere sotto la vetrata di un noto gruppo di Estrema Destra, parte politica che allora, pare incredibile, neanche mi dispiaceva. Volevo vivere l'atmosfera del derby come sempre, senza scendere scalini o scontrarmi con la folla, semplicemente rimanendo dietro a tutti gli altri così da avere il bagno e l'uscita sempre a portata di mano: è il bello di essere alti.
La partita iniziò con i soliti rituali, i soliti cori di scherno, i fumoni, i bomboni e tanto folklore. La Lazio giocava meglio e prendeva anche un palo non ricordo con chi e noi pareggiammo il conto dei legni con un tap-in di Totti dopo forse l'unica azione decente della squadra nostra. La partita andò avanti fino, mi pare, al trentesimo minuto poi ci fu un passaparola tra tutti quelli che mi erano davanti che si dimenavano a destra e a sinistra; seguì un momento di panico totale in cui in pratica avevo l'impressione che tutte le facce che incontravo mi parlassero di 'sto bambino morto ma che in fondo nessuno mi dicesse niente di ufficiale e credibile. A un certo punto tutti intimarono giocatori e arbitro di sospendere la partita e io mi aggiunsi al coro pensando che qualcuno davvero si fosse accertato del fatto.
Ma mentre l'arbitro fischiava la sospensione e cercavo di capire di più anche osservando il comportamento dei tifosi dell'altra sponda, da sotto e sopra mi ritrovai addosso un fiume di ragazzi che si srotolavano la cintura e si dirigevano verso l'uscita del settore. 'Che cazzo sta succedendo?' mi chiedevo mentre sentivo strani suoni provenire dalla scalinata, qualche urlo, fibie agitate addosso a qualcosa o a qualcuno. L'ultima volta che mi girai verso tutto quel fracasso, dando quindi le spalle al campo e agli spalti, fui investito da una fumata bianca che risalì le scale fino al sottoscritto, preso in pieno volto. Lacrimai respirando quella roba, roba che mi entrò nei polmoni bruciandomi la gola con una sensazione di strozzamento che mi fece barcollare finché non mi chinai a terra con gli occhi chiusi e in preda alla disperazione.
Tutto questo durò un quarto d'ora abbondante, il tempo per riprendermi, farmi coraggio e scendere le scale per affrontare la fuga dallo stadio. Il paesaggio che mi si presentò agli occhi fu degno delle lande di Mordor raccontate in The Lord Of the Rings: il gabbiotto della polizia era stato completamente distrutto, con un ragazzo vicino ai cancelli che agitava una pompa dell'acqua per tenere lontani tutti coloro che intendessero avvicinarsi alla Curva, c'erano fiamme dappertutto. Chiesi a uno, di cui neanche ricordo i particolari, di farmi passare, che volevo andarmene, e questo mi spalancò il cancello e feci Viale Dei Gladiatori correndo all'impazzata; da lontano mi giungeva la voce del Questore di Roma che informava il pubblico che il fatto fosse infondato, prendendosi un mucchio di fischi. Sulla strada verso il Lungotevere, invece, incontrai un tifoso laziale, uno sui 30 anni, che mi chiese se tutto questo avesse un senso. Mi giurò di non entrare più in uno stadio di calcio e io feci lo stesso a lui: però 10 anni dopo eccomi qui e allo stadio ci vado sempre, forse perché in fondo non si può mai scappare da quello che si è.
Ora vi chiederete, cosa c'entra Fiorentina - Napoli col derby del bambino morto? In primo luogo, particolare che al momento non avevo notato, uno dei protagonisti della faccenda, degli Ultras che andarono in campo per informare la squadra, fu proprio il caro "Gastone": e allora vedete che tutto torna?
In secondo luogo le due partite sono la dimostrazione di come un evento nazionalpopolare come quello calcistico abbia creato una categoria che funge da intermediazione tra i semplici tifosi e lo Stato: i capipopolo, personaggi che spesso vengono dalla strada e che raggiungono posizioni importanti nell'immaginario istituzionale della tifoseria. Addirittura nel caso del derby del 2004, tutti i tifosi credettero agli Ultras che diedero la notizia (pare che qualcuno avesse visto un bambino a terra coperto dai soccorritori con un lenzuolo bianco) e non al Questore. Chissà cosa ieri sarebbe successo se Genny 'a Carogna non avesse dato il sì, non potrei proprio immaginarmelo.
Quello che invece so è che i due eventi che ho riportato sono un veritiero specchio di un paese dove piccoli clan si sostituiscono allo Stato e diventano punti di riferimento sociali. La settimana seguente al derby del 2004 ascoltai parecchi pareri, tra chi demonizzava gli Ultras a chi avrebbe scommesso sulla buona fede di tutti, un vero e proprio incidente mediatico. Un mio conoscente allora membro di un gruppo della Sud fu tanto orgoglioso del fatto che la coscienza popolare di una Curva fosse riuscita a fermare lo spettacolo, il calcio delle televisioni, il calcio della finanza, il calcio dei milioni e della distanza tra i calciatori e il pubblico.
Tanti tifosi non sopportano l'idea di essere dei clienti delle società esattamente come molti cittadini non ci stanno a perdere la propria autorevolezza di fronte allo Stato. Il bene comune non esiste o se esiste deve pur sempre essere filtrato da un'organizzazione popolare altra allo Stato centrale. Organizzazione che riporta alle leggi della vita di strada, da quell'universo da cui nascono tutte le malavite ma anche i rapporti umani.
L'Italia è un paese popolare. È il Sudamerica, altro che Europa.
VP