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domenica 26 agosto 2012

The Batman saga (work in progress)

Quando Bob Kane presentò a Vin Sullivan, capo supervisore della National Comics, l'idea di un nuovo supereroe in grado di ripetere il successo strepitoso di Superman, probabilmente non immaginava che stesse per dare alla luce il fenomeno di massa più amato da intere generazioni di bambini e non solo. Perché se è vero che il mondo dei fumetti strizza l'occhio a quelli con poca voglia di leggere storie senza l'ausilio di illustrazioni disegnate, quindi senza lo sforzo di immaginazione che un libro di sole scritte necessita, sicuramente da quel 1936 (anno in cui fu concepita l'idea) nel corso degli anni le storie di supereroi e di combattimenti immaginifici dagli Stati Uniti al Giappone sono state una lente attraverso cui deformare le viscere del mondo reale. E se questo comportò da subito un innalzamento del livello narrativo di opere che dal semplice entertainment si accostavano all'arte anche grazie al filtro del Pop, d'altro canto il target più giovane e più forte su cui fare presa non poteva di certo essere ignorato.

Batman rappresenta l'ambizione del fumetto: un personaggio tormentato e dall'infanzia funesta, caratterizzata dalla morte del padre per mano di un maniaco omicida violentissimo come il Joker, che a prima vista sembrerebbe più il protagonista di una tragedia shakespeariana che un eroe mascherato. I duelli e gli inseguimenti contro criminali spesso figli del rifiuto di una società già nel 1938, data del primo numero edito dalla DC Comics neonata dalle ceneri della National, mettevano in luce le contraddizioni sociali in grado di stimolare la riflessione del target più adulto. Dentro al suo mantello nero come la pece Batman nascondeva i sensi di colpa e le ossessioni di una società immorale in cui era sempre troppo facile passare alla malvagità.

Le atmosfere dark della gotica Gotham City facevano del fumetto di Kane un materiale straordinariamente traducibile nell'audiovisivo. E, al contrario dei suoi colleghi della Marvel (da Spiderman a Iron Man a Hulk ai Fantastici Quattro) aveva una naturale adattabilità ai diversi generi che gli altri potevano avere in modo più o meno forzato: dal noir al thriller all'action al puro dramma persino alla commedia. Già, la commedia, perché il pipistrello non fu sempre così nero e al di là di quello che pensano i fan più agguerriti è anche grazie a questa versatilità cinematografica/televisiva che il personaggio arrivò incontrastato alla primissima fila del teatro della notorietà.

Il cinema ha incontrato per la prima volta Batman in un modo tanto scontato allora (1943) quanto sbalorditivo oggi: con un serial cinematografico, quindi NON un film, prodotto dalla Columbia Pictures: un racconto diviso in 15 puntate da mezzora dirette da Lambert Hillyer (reduce dal clamoroso exploit dark fantascientifico The Invisible Ray con Boris Karloff) che rappresentano la versione primordiale (anche se i primi esempi risalgono al muto) di ciò che noi conosciamo come lunga serialità, che nel giro di due decenni avrebbe trovato naturale collocazione sul piccolo schermo.

Il Batman del '43 aveva proprio il bianco e nero di certi noir americani anni '40 pur non conservando la struttura unitaria di un film vero e proprio, bensì ogni puntata finiva con un cliffhanger (ovvero un gancio) che stimolava la curiosità dello spettatore nello scoprire il seguito nella puntata successiva. Dell'universo batmaniano incontriamo la bat-caverna e l'ingresso ad essa tramite un orologio a muro e una Gotham City che somiglia più alla Chicago di Al Capone che alla New York e ai suoi grattacieli. La Bat-mobile non è altro che una Cadillac nera da gangster, il cattivo è il dottor Daka, un giapponese che vive dentro a un lunar park a tema nella Little Tokyo di Gotham e che ha l'abilità di convertire gli umani in zombie.

Lo scenario è quello antecedente alla Seconda Guerra Mondiale e all'attacco di Pearl Harbor: Batman sente di tutte le pressioni del maccartismo nell'industria hollywoodiana. E neanche il suo seguito, sempre un serial, del 1949 Batman and Robin, con i due eroi che stavolta se la vedono con un uomo incappucciato la cui identità scopriremo nel finale, si libera dal clima di tensione e paura che il senatore McCarthy instaurò negli studios.

A ogni modo fu un successo: un successo tanto clamoroso che 22 anni dopo (nel 1965) la prima serie fu ridistribuita prima nei cinema americani per poi essere trasmessa in tv in un'unica maratona di 15 puntate stavolta intitolata An Evening With Batman and Robin. Maratona che spianò la strada alla grande rivoluzione della storia del supereroe.

Infatti nel 1966 William Dozier e Howie Horwitz comprarono i diritti per una nuova serie televisiva. Una serie che si liberava di tutti i tormenti del fumetto originale e che si distanziava dai toni espressionisti dei serial degli anni '40: ne nacquero 3 stagioni trasmesse dalla ABC tra il '66 e il '68 che svezzarono letteralmente altrettante generazioni al mito dell'eroe buono e che di fatto riconsegnarono il personaggio di Batman nelle piccole mani dei bambini. Era una vera e propria mascherata di boutade politicamente corretta, in cui il personaggio interpretato da Adam West non solo era fisicamente poco prestante (con un addome un po' "soffice") ma era più chiaro che non si poteva, proprio come la calzamaglia grigia che indossava sotto un pacchianissimo mantello blu scuro.

I fans del cavaliere oscuro odiano a morte Dozier e Horwitz: per più di 20 anni Batman nell'immaginario collettivo è stato un vero e proprio compendio di certo naïf stiloso anni '60 (oggi terribilmente invecchiato) che ancora non si era graffiato delle pressioni della contestazione che proprio in quegli anni fermentava: il Joker (interpretato da un Cesar Romero mattatore con i baffi colorati di bianco e il frac fucsia inconfondibile), il Pinguino, la Donna Gatto e l'Enigmista erano cattivi e non potevano che essere tali. Ciò che li spingeva nelle loro beffarde crudeltà non era un dolore lontano o un sentimento di rivalsa, ma il puro e semplice piacere dello stare dalla parte del male. E tra uno "smash", uno "sgrunt" e un "per mille balene" imprecato da Robin (un impomatato rampollo Happy Days dalla spiccata parlantina anacronisticamente sopra le righe) i figli del boom economico si ritrovarono a fidelizzare con due eroi positivi(sti) al massimo, le cui ombre venivano spazzate via dalle ferrea e manichea scaletta delle puntate: incidente scatenante per colpa del cattivo di turno (che cambiava a rotazione, con qualche new entry come un germanico Mr. Freeze), chiamata della polizia alla dimora di Bruce Wayne dove il filantropo e il suo fedele Robin illustrano le loro attività benefiche, primo scontro tra i buoni e i cattivi che sembra finire dalla parte giusta, i due eroi che cadono nella trappola mortale da cui liberarsi nella puntata successiva (la struttura della seria era a due a due).

Al termine di una puntata della prima serie, con Batman e Robin ibernati per mano di Mr. Freeze, la voce narrante così si rivolge agli spettatori: "vi sembra concepibile che nessuno saprà aiutare i nostri eroi?". Nella Gotham non invasa di strane anime della notte travestite (come nel secondo di Tim Burton) degli anni '60 è ovvio che non fosse concepibile. E ai bambini andava raccontata la storia universale che essere buoni (pur con mille difficoltà) era sempre la cosa più conveniente. Gli stessi bimbi annuivano e i genitori accoglievano a braccia aperte senza preoccuparsi della violenza degli "smash" e dei "boom". Poco importava che molti degli indovinelli dell'Enigmista, così come alcune forzature terribili della sceneggiatura, fossero basati su giochi di parole anglosassoni che i traduttori italiani non avevano tempo di spiegare: l'indizio di un guanto portava a "glover street" e pazienza se il pubblico televisivo italiano di allora fosse assai poco incline al bilinguismo e ignorasse che "guanto" in inglese si dice "glove".

Per quanto oggi il campionario di kitsch del Batman del '66 risulti decisamente improbabile e faccia interrogare sul proprio stato mentale tutti i milioni di giovani che fino agli anni '90 rimanevano incollati su Telemontecarlo (la tv privata che dagli anni '80 ne deteneva i diritti) è innegabile che questa versione chiarissima di Batman contribuì in modo determinante nel fare del supereroe un'icona popolare universale. E sicuramente molti di quelli che affollarono i cinema del 1989 (per una generazione, classici di Disney a parte, fu la prima volta in sala, compreso il sottoscritto) conoscevano già il Joker prima di sapere chi fosse Jack Nicholson grazie alle smorfie stereotipate di Romero e alle sue strette di mano "energiche".

Fu la base superficiale su cui in seguito ricostruire le sfumature del passato. Un ritorno alle origini che ci porta, passando per il gotico di Burton e il barocco iperscenografico di Joel Schumacher, alla traduzione dark britannica di Nolan.

Dunque analizziamo le comparse dell'uomo pipistrello al cinema nelle loro forme strettamente filmiche (dunque escludendo i serial degli anni '40).


Batman (1966) by Leslie H. Martinson 


Batman - the Movie (1966)
di Leslie H. Martinson

Adam West (Batman / Bruce Wayne)
Burt Ward (Robin / Dick Grayson)
Lee Meriwether (the Catwoman / Kitka)
Cesar Romero (the Joker)
Burgess Meredith (the Penguin)
Frank Gorshin (the Riddler)
Alan Napier (Alfred)
Neil Hamilton (Commissioner Gordon)

 
Tra la fine della prima e l'inizio della seconda serie, la 20th Century Fox si impegnò in fretta e furia a sfruttare il successo televisivo appena raggiunto e portare i bambini al cinema. Che un film d'azione incentrato su un supereroe avesse bisogno di grossi investimenti di budget era cosa ovvia e scontata, ma nel '66 la supermajor americana decise che il tempismo fosse più importante della qualità. Così al cinema gli spettatori ritrovarono su per giù gli stessi set ricostruiti poveramente in studio e le stesse inquadrature già viste sul piccolo schermo. Il fattore colore (che fece la sua comparsa nelle televisioni italiane solo nel 1977) fu senza dubbio fondamentale nella riuscita al botteghino della versione cinematografica di Batman. Una visione tale e quale a quella domestica, narrativamente estesa e rappresentativa della summa degli elementi del serial: infatti Batman e Robin stavolta se la vedono con i quattro criminali più famosi del loro universo, riuniti per una volta insieme per il solito piano tanto grottesco quanto malefico.

A giustificare il passaggio in sala del film c'è l'aggiunta di nuovi bat-aggeggi tra cui un bat-elicottero con le pale di plastica e strumenti oltre i limiti dell'assurdo che aiutano i due eroi a sfuggire dai piani diabolici del Joker, del Pinguino, della Donna Gatto e dell'Enigmista: roba tipo uno "spray repellente per pescecani" (incustodito sull'elicottero insieme ad altri prodotti che non risparmiano neanche le pacifiche balene) usato per sventare la minaccia di uno squalo "di plastica" attaccato agli stinchi di Batman.

Così il film è un continuo campionario di follia narrativa e estetica che lo fanno sembrare più una recita scolastica che un blockbuster hollywoodiano. Gli enigmi e i doppi sensi linguistici, che già nella serie allontanavano ogni dubbio sulla serietà dell'operazione, in questo caso arrivano all'assurdo paradossale: "La storia dello squalo che mi ha ghermito sulla scaletta puzza... di pesce... e se c'è pesce c'è anche un pinguino... e se c'è pesce può esserci anche un gatto, La Donna Gatto...". La scena del molo in cui Batman con una cartoonesca bomba in mano incontra suore e mamme con le carrozzine a ripetizione è divenuta nel corso degi anni una delle più irresistibili per comicità e nonsense.

Rivisto con gli occhi non più ingenui di cinquanta anni fa, il Batman della Fox risulta talmente delirante e offensivo per l'intelligenza di un adulto da raggiungere il metalinguismo cinematografico. All'interno delle sue scemenze il film riflette il fascino naïf dell'epoca diventandone uno dei più evidenti esemplari.

È uno di quei rari esempi in cui il trash e i difetti di scrittura giocano a favore dell'importanza estetica del prodotto. Una roba d'altri tempi... in cui tutto era più semplice... che ci permette di sganasciarci nell'idiozia totale.

SCENA CULT:

Ce ne sono tante, troppe... forse la più allucinante è quella in cui Batman ricorda a Robin l'importanza dell'igiene dentale dopo averlo salvato da una caduta con la bat-corda afferrata coi denti.


Batman (1989) by Tim Burton

Batman (1989)
di Tim Burton 

Michael Keaton (Batman / Bruce Wayne)
Jack Nicholson (the Joker / Jack Napier)
Kim Basinger (Vicki Vale)
Robert Wuhl (Alexander Knox)
Pat Hingle (Commissioner Gordon)
Michael Gough (Alfred Pennyworth)


Alla fine degli anni '80 i diritti del brand andarono alla Warner Bros, che riprese a pieno titolo il concept originale del fumetto scartando la via della comicità e tornando al gotico. E non poteva scegliere regista migliore (quello di Beetle Juice) per tagliare i ponti con gli anni '60 e riallacciarsi allo spirito del serial cinematografico del '43.

A dire il vero il primo Batman di Tim Burton (successo clamoroso di critica e pubblico di quell'anno) ancora non si avventura appieno nei neri meandri di un eroe tormentato e solitario, terreno dove poi andrà a parare soprattutto Christopher Nolan: oscilla tra atmosfere noir anni '40 (con valanghe di citazioni esplicite) e attrazione feticista per l'oggettistica (la Bat-mobile e i "magnifici giocattoli" tanto detestati da Joker non saranno mai più così importanti e filmati con passione), in un continuo gioco di esplosioni e performance visivamente straordinarie che formano insieme un vero saggio filmato sull'estetica del decennio giunto al capolinea.

 La Gotham City descritta è una gotica metropoli devastata dalla violenza, con cattedrali alla Notre Dame e enormi grattacieli grigi simili ai palazzi della burocrazia di Brazil alle Seven Sisters di Mosca.

Il Joker di Nicholson è un gangster alla Al Capone che si trasforma in un perverso e sbruffone artista del crimine, molto New Romantic nel devastare musei (la scena più bella del film, che si rifà apertamente a un episodio della serie televisiva della Fox in cui il Jolly di Cesar Romero diventava artista d'avanguardia) e nel danzare sulla cima di un campanile con una Kim Basinger reduce da 9 1/2 Weeks e Blind Date.

Michael Keaton è un Batman tanto rigido quanto imbranato nei panni di Bruce Wayne. Dà un'interpretazione timida al personaggio risultando abbastanza credibile.

La messa in scena oliata di Burton sopperisce in parte ai difetti strutturali del racconto: la sceneggiatura ha momenti felicissimi come le intromissioni televisive di Joker, la sua sapienza nella chimica in grado di inquinare i cosmetici, la parata finale coi palloni a ritmo di Prince, ma cade nella descrizione della nascita di Batman non approfondendone appieno lo sviluppo del carattere e le motivazioni. Anche gli altri personaggi rimangono un po' bidimensionali, da comprimari di un film di genere: forse tre decadi fa neanche si sentiva, ma da Spiderman di Sam Raimi (anni duemila) in poi il cinema hollywoodiano ci ha ben abituati a eroi e antieroi a tutto tondo... che non si fermano alla fantasia estetica di una rivista patinata in movimento.

 SCENA CULT:

Joker e la sua gang vandalizzano il Museo d'Arte Moderna. Ma la dissacrazione (o reinvenzione) delle opere d'arte si ferma davanti a un Francis Bacon: "è proprio il mio genere" sentenzia Joker.


Batman Returns (1992) by Tim Burton

Batman Returns (1992)
by Tim Burton

Michael Keaton (Batman / Bruce Wayne)
Danny De Vito (Penguin / Oswald Cobblepot)
Michelle Pfeiffer (Catwoman / Celina Kyle)
Christopher Walken (Max Schreck)
Michael Gough (Alfred Pennyworth)
Michael Murphy (the Mayor)
Pat Hingle (Commissioner James Gordon)
Vincent Schiavelli (Organ Grinder)
Steve Witting (Josh)


Un bambino deforme nasce nella tenuta di una famiglia borghese e per la vergogna viene gettato nelle fogne di Gotham City; ad accoglierlo ci sono gli animali più eleganti della Terra, che suppliscono alla crudeltà umana con il sostegno per una vendetta enorme. Una occhialuta segretaria zitella rimane vittima di un intrigo di potere nelle stanze del sindaco e viene rigenerata dal morso di un branco di gatti.

I due bellissimi personaggi, tragici e sensuali, sono i veri protagonisti del miglior Batman di sempre, quello che riflette le ingiustizie sociali, il gotico etico ed estetico che era nell'idea originaria del fumetto. L'uomo pipistrello, di nuovo l'imbalsamato Keaton, è messo in secondo piano, anzi in terzo, se contiamo la subdola cattiveria del primo cittadino Max Shreck (il massimo terrore che cita il leggendario attore di Nosferatu di Murnau), servendo con mestiere la girandola di follie geniali che Burton costruisce per deridere la società borghese.

Con una splendida prova degli affiatati attori (De Vito, Pfeiffer e Walken su tutti), Batman Returns porta per la prima volta la saga del pipistrello al livello di un film d'autore. Con due pecche: un buco di sceneggiatura enorme nel finale, quando il Pinguino ordina ai suoi piccoli amici di uccidere i primogeniti di Gotham e si trova subito Batman a fronteggiarlo nelle gallerie fognarie, e ovviamente la scelta improbabile di prestare la straordinaria bellezza della bionda Michelle a un ideale di sfiga femminile.

SCENA CULT:

Il morso al naso del Pinguino a un giornalista impertinente durante la presentazione della sua nuova dimora istituzionale.


Batman Forever (1995) by Joel Schumacher


Batman Forever (1995)
di Joel Schumacher

Val Kilmer (Batman /Bruce Wayne)
Tommy Lee Jones (Two-Face / Harvey Dent)
Jim Carrey (Riddler / Dr. Edward Nygma)
Nicole Kidman (Dr. Chase Meridian)
Chris O'Donnell (Robin / Dick Grayson)
Michael Gough (Alfred Pennyworth)
Pat Hingle (Commissioner James Gordon)
Drew Barrymore (Sugar)
Debi Mazar (Spice)


La Warner cambia di mano la serie e affida la regia a Joel Schumacher, l'autore di "anniottantate" come St. Elmo's Fire o film bizzarri come Un Giorno Di Ordinaria Follia. E gli effetti si vedono: la Gotham City gotica di Burton diventa un groviglio di lucine e grattacieli barocchi stile Los Angeles di Blade Runner e anche i personaggi perdono il loro spessore, le loro ombre. Bruce Wayne è interpretato da un Val Kilmer forse migliore di Michael Keaton nella parte senza andare però oltre il discreto, gli antagonisti Two-Face e Riddler sono piatti come il fumettone della Fox degli anni '60.

E se il secondo come caratteristiche si presta molto bene al suo essere maschera bidimensionale, l'ex procuratore distrettuale Harvey Dent, ossessionato dal rapporto tra il Bene e il Male dopo essere stato sfigurato da un boss mafioso in sede di processo, meritava una cura a tutto tondo. L'interpretazione istrionica di Tommy Lee Jones non lo salva da un ruolo fiacco e sprecato, a cui Christopher Nolan riconsegnerà dignità il decennio successivo.

I dialoghi telefonati non aiutano la messinscena né lo sviluppo di un altro personaggio tragico, stavolta positivo, come il Robin di Chris O'Donnell la cui sede di vendetta e di riscatto per la morte della madre e dei fratelli equilibristi viene spiattellata in modo didascalico senza scavare nelle viscere di un eroe che ritroveremo molto presente nell'episodio successivo. Inutile dire che il film viene parzialmente salvato da Riddler e dalla sua smania di genialità, dalla sua invenzione di una macchina capace di catturare le onde cerebrali; Jim Carrey, nel '95 proprio all'apice del suo successo commerciale come faccia di gomma erede di Jerry Lewis, si divora il film e lo trascina fuori dalla mediocrità complessiva, insieme a Nicole Kidman, nel ruolo di una scienziata invaghita di Batman, che non ha bisogno di presentazioni: due fuoriclasse.

SCENA CULT:

"Indovina indovinello... quale genere di uomo ha i pipistrelli nel cervello?"


Batman & Robin (1997) by Joel Schumacher


Batman & Robin (1997)
di Joel Schumacher

Arnold Schwarzenegger (Mr. Freeze / Dr. Victor Fries)
George Clooney (Batman / Bruce Wayne)
Chris O'Donnell (Robin / Dick Grayson)
Uma Thurman (Poison Ivy / Dr. Pamela Isley)
Alicia Silverstone (Batgirl / Barbara Wilson)
Michael Gough (Alfred Pennyworth)
Pat Hingle (Commissioner James Gordon)
John Glover (Dr. Jason Woodrue)
Elle Macpherson (Julie Madison)


Mr. Freeze è arrabbiato: prende in ostaggio l'intera Gotham per accaparrarsi i cristalli che lo mantengono a temperatura adatta (ovvero tanto sotto zero) e che servirebbero a curare l'amata in ibernazione. Batman e Robin, ormai compari, intervengono in una specie di partita di hockey sul ghiaccio, tra battutine ed equilibrismi, e rinviano i piani del cattivo, che nel frattempo sodalizza con una chimica pazzoide e ambientalista che trasformatasi in Poison Ivy dispensa baci al veleno. I suoi giochi di seduzione portano i due eroi a contrapporsi, a disunirsi e infine a combattere di nuovo insieme. Intanto Alfred si ammala, ma c'è sempre una speranza... e anche una nuova eroina.

Schumacher vanifica totalmente il fascino del personaggio mascherato e lo rende un fumettone bidimensionale così come il resto dei caratteri: neanche il maggiordomo Alfred, presenza finora magistrale, viene risparmiato. E Batman e Robin, ancor più del precedente, finisce per essere un noiosissimo e rumoroso fumettone barocco dove la scenografia colorata e l'azione si prendono gioco di qualsiasi ombra. È il peggiore Batman della storia, quello che non ha né il fascino pop art carnevalesco del serial anni '60 né le ossessioni dei lavori di Burton. Gotham City diventa una Los Angeles di Blade Runner, la sceneggiatura è scritta male e serve assai poco un George Clooney comunque fuori parte e di gran lunga peggiore di Keaton e Kilmer che già non erano fulmini di guerra.

SCENA CULT:

I baci mortali di Poison Ivy che portano Robin ad accusare d'invidia il compare.