Per chi ama la letteratura, scrivere racconti, essere cittadini del mondo e riflettere sulla Settima Arte

venerdì 27 aprile 2012

Diaz (2012) by Daniele Vicari


Diaz (2012)
di Daniele Vicari

Claudio Santamaria (Max Flamini)
Jennifer Ulrich (Alma Koch)
Elio Germano (Luca Gualtieri)
Davide Iacopini (Marco)
Ralph Amoussou (Etienne)
Fabrizio Rongione (Nick Janssen)
Ana Ularu (Gala)
Monica Barladeanu (Constantine)


I poliziotti bastardi tornano a "tirare" al cinema a circa 40 anni dal periodo del poliziottesco all'italiana e dai film di denuncia. Evidentemente l'antipolitica è un sentimento che sta scavando sempre più nell'animo dell'italiano medio, che grazie a Dio ultimamente non esce di casa solo per commedie brillanti a cui portare le fidanzate.

Diaz è un film ambizioso e pericoloso: non solo perché va a stuzzicare uno degli episodi istituzionalmente più deplorevoli dell'ex belpaese, con una classe politica su per giù rimasta invariata ad allora e quintali di carte giudiziarie a cui attenersi. Lo è in quanto affronta la materia nel modo più audace possibile: sbatte in faccia allo spettatore una violenza crudele e supportata dal fatto che la rappresaglia del 21 luglio 2001 ai danni di uno dei più organizzati centri di accoglienza del Genova Social Forum venne commentata da Amnesty International come "la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale".

Ma proprio la realtà che regge le vicissitudini del film è un'arma a doppio taglio: da un lato sconvolge per il poco clamore seguito in tutti questi anni per un'azione così grave (dunque colpendo nel segno), dall'altro tende una trappola al regista che inevitabilmente cede alla mattanza, con un orrore dilagante esplicitamente mostrato quando il fuoricampo avrebbe esteticamente attenuato l'effetto body art pur mantenendo l'incisività della denuncia.

Più i fatti sono realmente accaduti più stride la componente fiction/splatter del racconto: l''ingiustizia e gli abusi di potere con umiliazioni gratuite hanno una propria coerenza profonda (etica e estetica) tanto quanto il discorso generale assume contorni metafisici. In questo caso Pasolini in Salò aveva raggiunto la vetta massima di questo sistema: la violenza fisica aberrante e "mostrata" dei gerarchi fascisti sui giovani imprigionati era di gran lunga inferiore all'abominio ideologico che aveva portato a quella situazione. Pasolini ricostruiva una realtà traslandola in una piattaforma iperreale da girone dantesco.

Ed è per questo che gli sputi e le manganellate verso le due ragazze tedesche o verso il giornalista di una redazione persino conservatrice o verso l'anziano sindacalista alla Diaz solo in cerca di un posto dove dormire vanno a vuoto se estrapolate dal contesto generale. Vicari, personaggio conosciuto e attivo negli ambienti di certa sinistra giovanile extraparlamentare, intreccia i rapporti giovani/polizia cadendo nella faciloneria: buoni e cattivi si muovono in un ambiente multirazziale, multiculturale e multilinguistico (quello dei contestatori) e in quello multiregionale dei poliziotti che si fanno ricattare dalle fidanzate per un concerto di Ricky Martin e danno la buonanotte alle bambine rassicurandole che tutto sta andando a gonfie vele.

Le storie che davvero lasciano il segno sono paradossalmente quelle meno raccontate: il titolare del bar che offre il rifugio a quattro giovani black block che hanno scampato il pericolo grazie a una birrata tra di loro, in quanto anche lui (probabilmente nel '68) ha conosciuto il dolore delle manganellate, il black block francofono di colore che esce dal bar la mattina seguente e si sente in colpa perché altri ragazzi sono finiti nei casini soprattutto a causa delle sue azioni, il suo amico bianco che dopo aver devastato un bancomat e ribaltato una macchina con furore (nelle prime scene del film) fugge da Genova avendo intuito quello che poi sarebbe accaduto.

Ad ogni modo è un film da vedere e supportare. E ovviamente girato quasi interamente a Bucarest, con l'aiuto di Francia e Romania e Fandango. Non sia mai che Stato e imprenditoria italiana si prendessero le proprie responsabilità finanziando in toto progetti in ogni caso coraggiosi e di rottura come questo.

Orribile il piano sequenza della bottiglia lanciata in primo piano ripetuta più volte dall'inizio del film.


VP